Italiani rapiti

Dopo i marò italiani arrestati nello Stato del Kerala, due connazionali nelle mani dei guerriglieri maoisti. Vicende diverse, ma che devono essere un monito a porci di fronte agli altri, nei loro Paesi, col rispetto dovuto
Italiani rapiti in India

Alle notizie delle ultime settimane sui marò italiani arrestati dalle autorità indiane, che restano in attesa delle decisioni dei tribunali dello Stato del Kerala, si è aggiunta quella di due connazionali rapiti da guerriglieri maoisti nello Stato dell’Orissa. Si tratta di due situazioni diverse, che in comune hanno l’India, da una parte, e due italiani dall’altra. Tutto il resto è molto diverso. Lo Stato dell’Orissa si trova molto distante dal Kerala, a sud di Kolkata, e si affaccia sull’Oceano Indiano, mentre il Kerala è la propaggine finale della penisola dalla parte del Mare Arabico.
 
Lo Stato del Kerala è quello che ha il tasso di scolarità più alto di tutto il Paese, stimato il 100 per cento, anche se ci sono casi di analfabetismo sparsi in qualche remoto villaggio. Ha un reddito pro capite molto alto rispetto alla media dell’India, grazie alla pesca, al turismo e, soprattutto, ai soldi che i lavoratori all’estero mandano alle rispettive famiglie, o portano con sé al termine di contratti di lavoro nei Paesi del Golfo Persico. La gente è impegnata a livello politico e sociale. Dall’indipendenza dell’India in poi, si sono sempre alternati al governo il Partito del congresso e il Partito comunista dell’India. I sindacati sono potenti e lottano per i diritti sia dei lavoratori, che dei braccianti e dei pescatori.
 
L’Orissa si trova agli antipodi, non solo geografici. È uno Stato altrettanto bello dal punto di vista naturalistico, ma abitato da popolazioni tribali, chiamate adivasi, appartenenti a diversi gruppi etnici. Il tasso di scolarità è fra i più bassi dell’India, pochi parlano l’inglese e la popolazione locale è sfruttata sia dai latifondisti che dai proprietari di miniere. Negli ultimi anni, è stata teatro di scontri sanguinosi fra diversi gruppi etnici e linguistici, erroneamente presentati solo come persecuzione contro i cristiani. Anche se l’elemento religioso è presente, non costituisce, comunque, la causa scatenante le violenze.
 
Soprattutto, però, è necessario tener conto che la zona è parte di un’area molto vasta del Paese sotto il controllo di guerriglieri maoisti. Si tratta dei cosiddetti Naxaliti, che dagli anni Settanta hanno dichiarato guerra all’amministrazione nazionale e controllano gran parte delle zone tribali, che investono anche altri Stati – Bihar, zone del Bengala, Jarkhand, Madhya Pradesh, Andra Pradesh – con caratteristiche molto simili all’Orissa (cfr. Ravindra Chheda, Mao all’indiana, Città Nuova, 13-09-2010). Si tratta di una situazione complessa che rende la zona ad alto rischio, sia per le popolazioni locali che per i turisti, indiani certo, ma soprattutto stranieri.
 
Quello che tuttavia mi preme sottolineare è la lettura che entrambi i fatti, pur così diversi, possono generare. Mi pare l’abbia già suggerita il direttore de La Stampa di Torino, quando nelle scorse settimane, in un suo editoriale online, mi pare sottolineasse come gli equilibri del mondo siano profondamente cambiati. Noi europei – e gli italiani si distinguono in modo particolare – non ci rendiamo conto che, invocando questioni come il diritto internazionale o legislazioni di questo tipo, ci rifacciamo a leggi nate e imposte dall’Occidente al mondo intero. Sebbene riconosciute da tutti, il fatto che alcuni Paesi abbiano ormai un profilo internazionale ben più marcato e un peso ormai non trascurabile modifica gli equilibri. Per decenni, con il turismo, spesso di tutti i tipi, e ancora prima per secoli grazie alla colonizzazione, abbiamo solcato mari e siamo arrivati in vari punti della terra imponendo costumi, cibi, lingue e modi di fare, pretendendo che fossero considerati civili a scapito dell’inciviltà locale. Dobbiamo forse imparare che oggi non ci sono dominatori del mondo e quando si va in casa d’altri, sarebbe bene entrare in punta di piedi. Non è un caso che in Asia, prima di entrare, ci si tolga le scarpe, anche nei villaggi e nelle capanne.
 
Ci si deve abituare all’altrui sensibilità. Non è possibile arrivare in località e fotografare scene di povertà o sequenze che, riportate all’estero, darebbero un’immagine poco dignitosa della gente che viene ritratta. Chiunque vive in India sa bene che, prima di fare foto, è sempre consigliabile chiedere il permesso di farle a chi si vuole fotografare e che, comunque, non si possono riprendere persone che fanno il bagno al fiume o che mangiano, momenti considerati intimi della persona e della famiglia.
 
Ci auguriamo tutti che i nostri quattro connazionali possano tornare sani e salvi alle loro famiglie. Sarebbe auspicabile, comunque, che le loro avventure, che speriamo momentanee, possano davvero essere un monito per ciascuno di noi e aiutarci a porci di fronte ad altri, soprattutto nei loro Paesi, con il rispetto e la delicatezza che meritano.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons