Inseguire la felicità

Beethoven e Schubert interpretati dal Trio di Parma rendono le composizioni di due musicisti del passato ancora vitali e moderne
Trio di Parma

L’Accademia Filarmonica Romana continua una stagione ricca di sorprese. Questa volta, al Teatro Argentina a Roma, è il Trio di Parma, formazione di tre musicisti insieme da vent’anni, a fare la parte de leone. Si inizia con cautela nel Trio  con la sinfonia in mi bem. n.2 di Beethoven, una “musica da casa” per certi aspetti un poco settecentesca, per altri apportatrice di quella felicità domestica cui  il musicista tedesco aspirava. I tre esecutori -, Ivan Rabaglia violino, Enrico Bronzi violoncello ed Alberto Miodini pianoforte, stanno bene insieme, c’è un affiatamento tranquillo: in particolare il pianoforte è di un tempismo eccellente, supporto fondamentale agli altri due.

 

La fantasia interpretativa si sbriglia nel Trio in mi bem. op.100 di Schubert, vero pezzo forte della serata, eseguito nel 1828, l’anno dopo la morte del grande Ludwig da uno Schubert che sperava con questa musica di esserne riconosciuto il successore. La melodia schubertiana, l’incanto del suo “errare romantico verso un non so dove” si esprime attraverso l’intera composizione, libera e ordinata al tempo stesso, con quel ritmo limpido e ironico che fa risaltare il cuore di adolescente del giovane compositore, morto a soli 31 anni.

 

Che poi Schubert possa essere interpretato e “variato” dalla felice elaborazione elettronica a cura di Over(fu)ture Trio Project con Filippo, Francesco e Leo, fantasiosi ragazzi del nostro tempo, è un segno della sua vitalità e modernità, come pure il “pezzo” di Wolfgang Rihm (1952) Fremde Szene III, anche esso innesto contemporaneo con rimandi al passato. Insomma, la storia si è fatta e si fa continuamente: anche questo è il potere della musica.

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