Insegnare Dante a Taipei

Brian è irlandese, Cari cinese di Taiwan. Il loro è un mai scontato dialogo tra culture diverse.
Brian e Cari Reynolds

Un irlandese sposato a una cinese di Taipei che insegna Dante a Taiwan? Ce n’è di che stimolare la mia curiosità. Incontro Brian Reynolds durante una delle sue puntate a Roma, per ricerche sulla mariologia patristica medievale. Esperto nel nostro sommo poeta, Brian vive con la famiglia a Taipei (Taiwan), dove insegna italiano all’università cattolica. Assieme a lui vengo a conoscere la moglie Cari e due splendide bambine. Sono una famiglia dei Focolari, punto di riferimento per la comunità locale.

 

Brian, come vi siete conosciuti tu e Cari?

B.: «Oltre a essere docente all’università di Dublino, ho insegnato inglese in una scuola privata. E proprio lì, nel gennaio del ’96, ho incontrato Cari, venuta a studiare l’inglese. Ci siamo innamorati e quando, dopo tre mesi, lei è tornata a Taiwan, l’ho raggiunta lì con l’intenzione di restarci solo qualche settimana; ma poi le circostanze mi hanno indotto a stabilirmi nella sua città d’origine».

 

Cari, come mai l’Irlanda?

C.: «La mia famiglia era cattolica di nome ma non praticante, io non conoscevo niente della fede cristiana. Dopo gli studi di giornalismo, stavo cercando la mia strada, qualcosa che desse senso alla mia vita. Nel ’95 sono stata invitata a Roma, a partecipare al Genfest, il grande meeting dei giovani dei Focolari. Dopo aver trascorso diversi mesi a Loppiano, la cittadella del movimento, per imparare l’inglese mi sono trasferita a Dublino, dove ho conosciuto Brian. In Irlanda sono tornata da sposata, con lui e le nostre due figlie, nel 2004».

 

Come mai questo ritorno?

B.: «Mi ero preso un anno sabbatico, anche per stare vicino a mia madre, malata di Alzheimer».

 

Prima di sposarvi, qualcuno dei vostri parenti vi ha fatto osservare le possibili difficoltà dovute alla diversità di cultura?

C.: «A mio padre non sorrideva l’idea che andassi a vivere così lontano, sicché la nostra decisione di rimanere a Taiwan gli ha tolto un peso. Il matrimonio è stato celebrato nell’aprile del ’97. Brian per scherzo dice che non sa neanche se è sposato, perché ha pronunciato la formula in cinese senza capire quello che diceva».

B.: «Purtroppo tanti cambiamenti in una volta (lavoro, ambiente, cultura, clima) non sono stati senza effetto e la salute ha finito per risentirne: un misto di dolori fisici e di disagio psicologico che mi toglievano ogni energia. È stato necessario così prendermi un periodo di riposo lontano da Taiwan, presso mio fratello in Australia. E Cari è rimasta sola, appena sei mesi dopo le nozze. Nelle nostre conversazioni telefoniche, le dicevo: “Non ho ancora le forze, ho bisogno di tempo, si vede che è volontà di Dio aspettare”. Siamo riusciti ad andare avanti. Dopo quel periodo difficile i problemi non sono mancati, ma d’altro genere».

 

Immagino che fossero di genere culturale…

C.: «Infatti. Le differenze fra noi in realtà sono state molto più profonde di quanto ci aspettassimo: i modi di dire e di fare nella vita di ogni giorno, lo stesso cibo… Per esempio la mia croce è non poter cucinare piatti cinesi in quanto Brian non li gradisce. Spesso si tratta di perdere le nostre vedute per andare incontro all’altro».

B.: «Proprio così. E non sempre ci riusciamo, io soprattutto. Un esempio: nella cultura cinese dire di no in modo troppo diretto è considerato scortese, quindi mi ci sono voluti anni per capire – dal tono di voce, dall’atteggiamento – quale sì vuol dire sì e quale invece no. Un altro problema è dovuto al fatto che io sono abituato ad esprimere le mie opinioni in maniera diretta, a discutere per trovare un accordo. Questo equivale a litigare per Cari, che finisce per tacere, sentendosi schiacciata. Nel caso poi di qualche incomprensione, per me è spontaneo chiederle subito scusa. Ma per Cari questa facilità a scusarsi non vuole dire niente: lei ha bisogno dei suoi tempi per smaltire la cosa, diversamente da me che vorrei cercare di risolverla subito. Un orientale, invece, si scusa chinando la testa in silenzio, sperando che la cosa si risolva da sé. Per me questo modo di fare è contrario sia alla mia cultura sia all’ideale dell’unità, che prevede la comunione. Comunione che nella cultura cinese è davvero una conquista, anche all’interno del movimento, vero, Cari?».

C.: «Sì, non è facile. Quando ci si incontra, si parla di questo o quell’argomento, ma quanto alle cose più intime ci vuole tempo per arrivare ad aprirsi».

B.: «Però, c’è da dire che in questa cultura c’è una sensibilità eccezionale verso gli altri. Si cerca sempre di esprimere le proprie opinioni in modo che l’altro non si senta obbligato a dichiararsi d’accordo o meno. Anche con gli studenti trovo un rispetto verso di me e un’apertura verso lo spirituale che ormai mi sembrano rari tra i giovani occidentali».

 

Brian, sei riuscito a fare amare Dante anche a Cari?

B.: «Non proprio (ride), tant’è che se lei non riesce a dormire basta mi chieda qualche spiegazione di un canto di Dante per addormentarsi subito! Invece è gratificante per me insegnare Dante all’università. A parte il valore letterario, attraverso questo autore così radicato nella cultura cristiana europea è possibile fare una vera e propria catechesi ai miei studenti che non conoscono il cristianesimo. Qualcosa passa e il loro atteggiamento verso la vita in qualche modo ne risulta cambiato».

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