Indigniamoci per chi muore di freddo

I bambini non possono continuare a morire solo perché hanno rifiutato l’assistenza. Occorre un pronto soccorso sociale
Bologna sotto la neve

Lo diceva anche la canzone di Lucio Dalla, “Piazza Grande”: voglio morire in piazza grande tra i gatti che non han padrone come me, attorno a me. Ma forse a Devid, 20 giorni, non interessava l’argomento. Lui di morire in piazza Maggiore a Bologna, forse non ci aveva pensato.

 

Quando ho letto la notizia – come tanti sicuramente – ho avuto i brividi, ma non per il freddo lo stesso freddo che ha ucciso il bimbo, ma perché anche nell’accogliente e dotta Bologna possa succedere questo. E quello che fa stare più male sono le decine di distinguo che sono scattati dopo la tragedia: noi abbiamo fatto il possibile, loro hanno rifiutato, una tragedia evitabile, ecc.  

 

Nelle pagine di Città Nuova, durante il periodo natalizio sono stato pubblicati gli “auguri scomodi” di don Tonino Bello, uno che si è sporcato le mani e non si ha posto distinguo: «Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio». E’ un duro monito che va oltre le burocrazie che hanno fatto tutto il possibile, oltre le leggi che permettono e non permettono, oltre la donazione del 5 per mille ad un’opera sociale.

 

Un bambino di un mese non può morire così. Non interessa se la famiglia ha colpa o è innocente, se ha rifiutato o accettato. La Caritas di Bologna ha riproposto un tema che in termine tecnico si chiama “esigibilità dei servizi”, cioè fare in modo che se si hanno dei diritti è il caso di farli semplici e accessibili. Come quando uno, in urgenza sanitaria trova un Pronto Soccorso per trovare un minimo di risposta, così non è o è di rado, per le urgenze sociali. Certo il volontariato, questo sarebbe il suo anno internazionale, supplisce quanto può a delle urgenze, ma non basta. Proprio su queste pagine web, Franca Dente, presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali ci aveva detto: «Responsabilità presuppone l’altro, significa rispondere a qualcuno, ma significa anche rispondere di qualcuno; significa accogliere, ascoltare, dare fiducia e fidarsi, curare e prendersi cura, rendere conto e rendersi conto di sé e delle proprie azioni in una dimensione che è sempre contemporaneamente personale, sociale, professionale e civile».

 

Facciamo che sia così, senza distinguo e senza tagli. Facciamo in modo che Devid abbia il merito di far rimanere sulla nostra pelle un senso di vergogna collettiva quando muore un bambino in questo modo e non cambiamo subito il canale della nostra coscienza per guardare un altro scenario. Indigniamoci più spesso di queste cose e con l’indignazione ricordiamoci che occorre rispondere di qualcuno, accogliendo, ascoltando, curando e prendendosi cura, non facendo più eco a quella primordiale risposta dell’Eden: sono forse io il custode di mio fratello? Sì!

 

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