Indifferenza tra la gente di Tirana

Mentre la capitale si prepara alla manifestazione di venerdì, per le strade la vita scorre normalmente. La politica è assente dai discorsi comuni e il senso dello Stato è ancora troppo debole
proteste in albania

L’Albania, dopo gli scontri in piazza di sabato 22 gennaio in cui sono morti tre manifestanti, colpiti dalla guardia repubblicana, è stata posta sotto osservazione dall’Unione europea. E mentre il presidente albanese Sali Berisha si prepara a ricevere il mediatore europeo Miroslav Lajcak, abbiamo raggiunto alcuni italiani residenti da tempo a Tirana. Chiediamo loro di raccontarci come la gente sta vivendo questi giorni di crisi, scatenati dalle accuse del sindaco di Tirana,  Edi Rama, di brogli elettorali che più che un governo democratico, secondo lui, hanno dato vita ad un regime.

 

«Ci sono indifferenza e rassegnazione – ci spiegano chiedendo l’anonimato –. Manca il senso dello Stato e quindi anche queste manifestazioni antigovernative sono sostenute solo dai fiancheggiatori del sindaco di Tirana. In giro sugli autobus, per le strade, la vita scorre normalmente e gli alterchi tra gli albanesi più che sulla politica si incentrano sul mancato resto del biglietto, sulla presenza di un ubriaco che disturba i passeggeri, sull’aumento dei prezzi. La politica non suscita alcun dibattito».

 

«La gente del resto è ben consapevole che in questo scontro non si profila nessun vincitore – proseguono –, la corruzione nel Paese è molto alta e le autorità non riescono a porvi freno. Qualcuno sostiene che sia persino avallata dalle massime cariche dello Stato e della stessa capitale».

 

Ma sulle strade sono rimasti dei morti e più di sessanta feriti. Possibile che neppure questo sangue abbia scosso la nazione?

«Un sussulto c’è stato soprattutto nella parte Sud del Paese, da cui provenivano due dei manifestanti uccisi. Sulla loro morte le ipotesi fioriscono. Qualcuno parla di oculato assassino, di colpi mirati sulla gente del Sud. Il vero problema dell’Albania continua a rimanere questa divisione profonda tra le due regioni. L’albanese parlato comunemente è la lingua del Sud, mentre la letteratura, la poesia, la cultura hanno nel Nord le loro radici e i principali rappresentanti, che spesso sono cattolici, sacerdoti e laici. Alcuni di loro sono stati annoverati da Benedetto XVI tra i quaranta martiri albanesi».

 

A proposito della comunità cattolica, il vescovo di Tirana ha riunito i confratelli per stendere un documento ufficiale in cui chiede di placare gli animi, di non lasciarsi prendere dalla violenza e di puntare ad un dialogo più democratico. Alcuni movimenti fautori di un corso socio-politico per i giovani si riuniranno per capire in profondità cosa si sta vivendo in modo da acquisire maggiore consapevolezza della partecipazione democratica ed elaborare delle proposte.

 

«La verità è che dietro questo apparente disinteresse le famiglie soffrono – concludono i nostri intervistati –. Il lavoro manca e con la crisi in atto non si vedono prospettive. Le rimesse degli immigrati negli ultimi anni sono calate del 60 per cento. Molti albanesi hanno scelto di restare all’estero e quindi i costi di una nuova vita non includono, spesso, il mantenimento di chi è rimasto in patria».

 

«Ci sono disagi seri, – continuano le nostre fonti, – ma in Albania si vive molto di apparenza. Basta guardare le centinaia di Mercedes che popolano le vie della capitale. I proprietari non sono ricchi magnati, ma gente comune che all’automobile affida uno status sociale. Spesso non si hanno soldi per mangiare e per la benzina, ma la Mercedes lucente fa bella mostra di sé davanti casa».

 

Intanto la capitale si prepara alla nuova manifestazione organizzata dal sindaco stesso, venerdì prossimo, ma sugli autobus in nomi di Berisha e di Rama non vengono neppure pronunciati.

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