Incontri sotto il tendone

Chi si ricorda ancora dei circhi? Conversando con la famiglia Anselmi, una che la passione ce l’ha.
Belinda Carroli

«Venghino, siore e siori, venghino!». Molti probabilmente annoverano tra i ricordi d’infanzia le gesta di trapezisti e giocolieri, o la vista di qualche animale esotico a distanza ravvicinata. Preferibilmente feroce, altrimenti non c’è gusto. Quando arrivava un tendone in città, era festa. Eppure oggi, nonostante ci siano circa 160 circhi in Italia, la loro visibilità è notevolmente ridotta: quanti di noi saprebbero dire dove si è fermato il più vicino?

 

Lo ammetto: quando mi è stato chiesto di scrivere un servizio sui circhi, ho dovuto fare una ricerca in Internet per sapere dove andare a sbattere la testa. In effetti, come ci ha confermato Elvio Anselmi del Circo Apollo, la Rete è una risorsa preziosa, sia in termini di promozione che di ingaggio degli artisti, oggi assunti tramite vere e proprie agenzie di collocamento con regolare contratto (a termine, non per amor di precariato, ma perché in media una volta l’anno si cambia spettacolo). Ma è un’arma a doppio taglio: è opinione comune che questo calo di popolarità non solo dei circhi, ma anche di altre forme d’arte e intrattenimento, sia dovuto soprattutto allo strapotere del web.

 

Entrare nel “carrozzone” dell’Apollo, accampato a Roma sui lungotevere, è entrare nella storia di una famiglia che fa circo da generazioni: una quarantina di persone tra Anselmi, dipendenti e artisti esterni, spesso conosciuti nei tanti tour internazionali. Il ricordo più bello sembra essere quello di Israele: «Lì arrivano i giornalisti, la gente ti fa festa – ricorda Elida Sforzi, madre di Elvio –, qui invece sembra di dare fastidio. Non c’è una cultura del circo».

 

Il confronto con l’estero è stridente: «In Italia – spiega Elvio – si tende a considerare il circo come il posto dove portare i bambini a vedere gli animali, mentre comprende moltissime forme d’arte». Spesso alquanto originali: Belinda Carroli, circense di settima generazione, fa giocoleria appesa per i capelli. «Se sai come legarli, non si spezzano», assicura. C’è da crederle, visto che l’esperienza non le manca: sposata a un equilibrista spagnolo, ha lavorato in Canada al Cirque du Soleil e al Ringling Circus negli Usa. Tra un tour e l’altro ha avuto due figlie, che parlano tre lingue e sono entrate nell’azienda di famiglia: la più grande, 17 anni, fa un numero di hula hop, mentre l’altra, di 13, frequenta l’Accademia di circo di Verona.

 

Proprio le scuole sono un valido apporto alla formazione degli artisti: «Io mi allenavo sulla corda la mattina presto col gelo – ricorda Elvio –, adesso invece esistono strutture adeguate». In Italia sono concentrate al Nord e nella capitale, con corsi sia per professionisti che amatoriali, usufruendo anche di fondi europei. Quello del finanziamento pubblico è un capitolo controverso: «Esistono contributi statali in base a quanto ciascun circo dichiara – riferisce Elvio –, però non se ne ha diritto per i primi tre anni di attività: ma è proprio nella fase di avvio che sono più necessari». Altra questione cruciale è la qualità: la grande fioritura dei circhi avvenuta negli anni Settanta, infatti, ha diminuito il livello generale dell’offerta, facendo sì che quelli davvero validi rimanessero pochi in percentuale. Elvio propone quindi una giuria indipendente che visioni gli spettacoli, non tanto per diminuire questa offerta, quanto per creare una chiara distinzione – anche di finanziamento – tra meritevoli e non. Una sorta di autorizzazione “Iso”, insomma. L’impennata dei prezzi del carburante, peraltro, rende ogni centesimo ancora più prezioso: «Ogni mese spendiamo 6 mila euro solo per i generatori e per il riscaldamento – riferisce – e ci aiuterebbe molto poter comprare il gasolio agricolo».

 

L’inizio dello spettacolo si avvicina e arrivano altri artisti, tra cui spicca Frank, arzillo comico settantenne italoamericano. Pare che tutti facciano circo da generazioni: «In effetti ci si sente un po’ dei predestinati – ammette Elvio – ma rimane comunque una scelta libera. Mia madre non voleva nemmeno che io facessi il trapezio, aveva paura». Alcuni dicono di sentirsi membri di un “mondo a parte”, ma altri non condividono questa sensazione: il contatto con la gente di tante nazionalità e culture sembra compensare lo “sradicamento” di una vita da girovago.

Prima di lasciarli, un ultimo giro dietro le quinte, dove tutto è pronto per andare in scena: nonostante il calo degli spettatori, nel vedere la cura con cui tutto viene preparato si capisce che ci credono. Perché, conclude Frank, «il circo ha ancora tanto da dare, soprattutto alle famiglie».

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