In Cile stravince Michelle Bachelet, ma non basta

La ex presidente ottiene quasi il 47 per cento e la sua rivale più diretta appena il 25. Ma il sistema elettorale binominale non riflette questa differenza. Grandi assenti, ancora una volta, i giovani elettori
Elezioni presidenziali in Cile

La vittoria elettorale della ex presidente Michelle Bachelet alle elezioni in Cile, che si sono svolte domenica scorsa, sarebbe da considerare travolgente, avendo ottenuto quasi il 47 per cento dei voti, sfiorando il doppio dei voti ottenuti dalla sua rivale più diretta, la candidata della coalizione di destra, la Alianza, che ha appena superato il 25 per cento delle preferenze.

Ma la peculiarità del sistema elettorale cileno fa sì che tale lusinghiero risultato non sia sufficiente per assicurare la vittoria definitiva al primo turno – rimandato dunque a dicembre il responso finale su chi sarà il nuovo inquilino del palazzo de La Moneda – e non garantisca in Parlamento i voti necessari per mettere in moto i cambiamenti delineati nel programma elettorale della coalizione di centrosinistra, la Nueva Mayoria (Nuova maggioranza), dove, in molti casi, vengono auspicate riforme la cui approvazione richiede maggioranze speciali.

Responsabile principale di questa situazione è il sistema binominale, eredità della dittatura di Pinochet, che lo scelse per garantire che la rappresentanza parlamentare dei settori affini al regime militare godesse dei seggi necessari senza dipendere dal numero dei voti ottenuti nelle elezioni. I collegi assegnano un seggio ciascuno ai primi due partiti o alleanze. Solo nel caso in cui il partito che arrivi primo raddoppi i voti del secondo è possibile ottenere entrambi i seggi del collegio. E tali casi sono eccezioni che non riescono a incidere sul risultato finale. Infatti, grazie a tale sistema, la Alianza, nonostante un risultato che andrebbe considerato una vera propria débâcle, regge e la sua rappresentanza parlamentare resta sostanzialmente intatta.

Forse Bachelet paga il prezzo di una strategia volta a non suscitare troppi timori nel settore più instabile del centro, quello maggiormente aperto al liberismo economico e "allergico" ai cambiamenti troppo radicali, soprattuto in materia di intervento dello Stato nell'economia.

Lo scenario di una vittoria al primo turno era legato a due eventualità: un aumento del numero dei votanti, cosa che non si è verificata – si stimano anzi più di 700 mila voti in meno –, e la partecipazione dei 4 milioni di giovani che pur avendo diritto di voto non ne fanno uso. Anche questo secondo obiettivo è stato mancato ed ancora una volta nessuno dei candidati è riuscito a sedurre i giovani, che continuano a provare sfiducia verso un sistema politico considerato figlio di un modello economico che privilegia i più forti ed accentua le disuguaglianze.
 


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