Immigrazione e ricatti

Il regime di Gheddafi avrebbe usato gli sbarchi degli immigrati per tenere sotto scacco l'Italia. Ma è su cosa accade prima dei confini libici che occorre puntare lo sguardo
cagliari immigrati

Stiamo apprendendo in questi giorni che nei mesi scorsi l’Italia sarebbe stata ricattata dalla Libia attraverso gli immigrati: ovvero, gli sbarchi massicci a Lampedusa sarebbero stati voluti personalmente da Gheddafi per mettere in difficoltà il nostro Paese. Il ministro Maroni, quasi con effetto liberatorio, va dicendo ad alta voce ciò che non poteva esternare mentre Gheddafi era ben saldo al potere. In fondo vuole anche dire – implicitamente – che l’Italia ha saputo cogliere la sfida mettendo in piedi un sistema di accoglienza senza alzare bandiera bianca.

 

In realtà queste dichiarazioni non appaiono affatto necessarie: che l’Italia fosse tenuta sotto scacco dalla Libia, almeno su questo punto, già lo avevamo capito e detto da tempo, anche su queste pagine. Inoltre occorre tenere ben presente che quanti si imbarcano a Tripoli per giungere in Italia sono in gran parte persone fuggite da Paesi che stanno attraversando gravissime situazioni, come la Somalia, l’Eritrea, la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Sudan, Il Mali e la regione del Darfur. Prima di giungere ad imbarcarsi hanno affrontato marce lunghissime ed estenuanti, lasciando dietro di sé tanti che non sopravvivono agli stenti della traversata del deserto.

 

È su queste situazioni che dovremmo puntare lo sguardo. Perché, se anche dovesse essere vero che Gheddafi ha pilotato i flussi degli sbarchi in Italia, è altrettanto vero che non ha certamente avuto alcun potere sulla decisione di fuggire presa da migliaia di persone di altri Paesi africani in crisi per le più diverse ragioni. E se ancora riusciamo a fare una stima approssimativa di quanti sono morti nel mare tra la Libia e l’Italia è assolutamente impossibile sapere quanti hanno perso la vita nel deserto che precede il confine libico con il Niger, il Ciad o in Sudan. Le dichiarazioni di questi giorni quindi dovrebbero spingerci a riflettere non tanto sul passato, ma su cosa stia accadendo – ora – alle migliaia di profughi che ancora premono (ai confini della Libia e non solo) per fuggire dalle guerre e dalle carestie.

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