Il travaglio della vita

Italia prima in Europa per il ricorso al cesareo, mentre sono alla ribalta tragedie avvenute in sala parto.
Maternità

«Andrea è nato ed è bellissimo. Il parto è stato difficile per entrambi…». Tiro un respiro di sollievo quando arriva l’sms perché comunque, dopo una gravidanza difficile, mamma Federica ce l’ha fatta e Andrea pure. Sfinita lei, sano lui. Adesso ce lo possiamo dire: «Non siamo stati esenti dall’effetto panico provocato dallo stillicidio mediatico di questi giorni che ci riporta quotidianamente tragiche notizie di bambini morti in sala parto». Né ci nascondiamo una domanda, alla luce di com’è andato il parto, travagliatissimo: «Perché non le hanno fatto il cesareo?».

 

Già, cesareo sì, cesareo no? Sembra il tormentone autunnale, ma poi, quando ci si imbatte nelle situazioni concrete, si entra nel vivo del problema (per l’aspetto strettamente clinico rimandiamo a pag. 59).

L’Italia detiene il record europeo di nascite col cesareo, una media nazionale che si attesta al 40 per cento e che passa per il 60 per cento della Campania, il 52 per cento della Sicilia e il 24 per cento della Toscana, solo per citare qualche regione. Molteplici le motivazioni, come ci spiega Vittorio Catarinella, ginecologo al Fatebenefratelli di Roma: «Non si può demonizzare il cesareo perché è un intervento chirurgico che ha ridotto drasticamente la mortalità sia delle madri che dei bambini. Detto questo, è pure vero che in Italia si fanno troppo cesarei».

 

Perché il ricorso facile al bisturi?

«Le cause sono molteplici. Una delle più importanti è senz’altro la pressione medico legale; spesso, per paura che qualcosa vada male, si ricorre al cesareo piuttosto che al parto spontaneo. Un secondo motivo importante sta nel fatto che le donne italiane ormai hanno il primo figlio in media a 34-35 anni e poi sono molto aumentati i casi di fecondazione assistita e di gemellarità che vanno ad incidere sulla percentuale dei cesarei. C’è infine un problema strutturale: per poter limitare il numero dei cesarei bisogna avere dei “punti nascita” sicuri, adeguatamente attrezzati per le emergenze, e non sempre è così, e allo stesso tempo accoglienti e rispettosi della naturalità dell’evento».

 

Che importanza ha il rapporto medicopaziente nella gravidanza?

«Intanto, all’inizio della gravidanza o nel corso dei 9 mesi bisogna distinguere fra le donne a basso e ad alto rischio. Fatta questa distinzione, sarà compito dell’equipe perinatale (ginecologo, ostetrica, neonatologo, anestesista) di accompagnare ogni donna secondo le sue specifiche necessità. Importante, quindi, è recuperare quella fiducia medico-paziente che continua invece a calare. E in questo anche i media devono stare attenti, perché spesso si dà l’impronta di malasanità a casi che non lo sono affatto».

 

«Sono per il parto naturale laddove è possibile ovviamente, ma in natura dovrebbe esserlo nel 90 per cento dei casi», ci dice da parte suaCarmela Carpanzano, ostetrica a Pachino (Sr). La dottoressa ha fatto arrivare dalla Germania una vasca portatile e aiuta le donne a partorire a casa nell’acqua calda, con risultati sorprendenti perché «l’acqua calda è un forte analgesico», spiega. E aggiunge: «Una delle incongruenze più grosse da noi è che le sale parto sono quelle del secolo scorso, dove tutte le donne partoriscono sdraiate, cioè nella posizione meno adatta. Purtroppo nei nostri reparti non ci sono più parti fisiologici, sono in maggioranza parti indotti e le contrazioni farmacologiche sono molto spesso impossibili da sopportare».

 

Perché succede questo?

«Perché parti così li puoi programmare in qualche modo, mentre il parto naturale avviene in qualsiasi momento, di notte, in un giorno di festa… Non a caso in una statistica di qualche anno fa della regione Sicilia si era notato che tutti i bambini nascevano dal lunedì al venerdì e dalle 9 alle 13».

 

Dicono che son cambiate le donne e che non sanno più soffrire…

«Questo è un modo ulteriore di sviare il problema. Il travaglio spontaneo indotto dagli ormoni della gravidanza è rispettoso della soglia del dolore della mamma e diventa il campanello d’allerta che induce la madre a ben predisporsi alla nascita del proprio bambino. Se una madre però è abituata ad usare analgesici, per qualunque dolore vorrà farlo anche durante il parto, un’esperienza istintiva ed emotivamente coinvolgente, difficile da gestire razionalmente. Le scelte vanno fatte prima, man mano che il corpo si prepara e si conoscono le varie modalità di parto».

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