Il tornado Tom

Tom Boonen si è aggiudicato domenica la 110ª edizione della Parigi-Roubaix entrando di diritto nella leggenda del grande ciclismo
Tom Boonen

A volte ritornano e quando lo fanno strappano il successo di prepotenza. I campioni di razza dello sport sono cannibali per definizione, arraffano tutto il possibile quando possono, e agli avversari lasciano solo le briciole, ovvero le piazze d’onore ai piedi del gradino più alto del podio.

 

Nel giorno di Pasqua il nome di Tom Boonen, 31 anni, belga di sponda fiamminga, non suona di certo come una sorpresa in cima all’ordine d’arrivo della Parigi-Roubaix, inimitabile corsa d’altri tempi, in un ciclismo moderno sempre più “high tech”. Di sicuro è un lieto e sperato ritorno al vertice, per gli appassionati delle due ruote a pedali, visto che Tom da un paio d’anni a questa parte si era un po’ perso, come succede spesso ai grandi campioni. Quando sei al vertice e possiedi un innato talento cristallino, difficile comprendere e sopratutto far comprendere a chi ti sta attorno, la differenza tra persona e personaggio.

 

Dopo due stagioni tra luci e ombre, senza una cospicua dote di importanti vittorie all’attivo e un pizzico di sfortuna, la pressione iniziava a essere strisciante e così, il campione Boonen era atteso all’esame di riparazione, superato a pieni voti, a suo modo, con il suo stile: storica doppietta nel giro di una settimana. Vittoria al Giro delle Fiandre, domenica 1° aprile e Parigi-Roubaix per l’appunto, la quarta della carriera. Se a questi successi va ad aggiungersi la Gand-Wevelgem, conquistata alla fine di marzo, prende forma un tris di corse magico, replicato solo nel lontano 1962 dal belga Rik Van Looy. Roba d’altri tempi.

 

Tom sa bene che la Roubaix o la ami o la odi. O la aggredisci o la subisci, perché non è una semplice classica d’inizio stagione, ma un appuntamento con la storia del ciclismo, le fatiche annesse e la cultura di un popolo intero. Lassù al nord, tra Francia e Belgio, ogni anno si rinnova la magia e d’incanto i tratturi di campagna, lastricati da pesanti pietre chiamate “pavé”, tornano a rifiorire grazie ad uno sterminato e variopinto sciame di tifosi che aspettano il passaggio dei corridori. Poco importa se il meteo prevede pioggia e il relativo inzaccheramento di fango o tempo asciutto, che annuncia dense nuvole di polvere.

 

Domenica, a cinquantasei chilometri dall’arrivo, “l’uragano Tom” si è abbattuto sui più diretti avversari. Giocando d’istinto, il fiammingo ha azzardato l’allungo insieme al compagno di squadra Niki Terpstra, cogliendo di sorpresa Alessandro Ballan (poi terzo all’arrivo) e Filippo Pozzato, vittima di una caduta sul più bello, che ha vanificato sogni di gloria e italiche speranze.

 

Tra due ali di folla, Boonen ha prima salutato Terpstra con un metaforico «ci vediamo all’arrivo» e subito dopo ha imposto il suo ritmo, senza mai concedere spazio agli avversari. Un uomo solo al comando, come ai tempi di Coppi, per cinquanta chilometri di gloria, fatica, sudore, lacrime, sangue e risurrezione. È questo il ciclismo dei grandi, perché come dice lo scrittore Erri De Luca, «gli invincibili non sono quelli che vincono sempre, ma quelli che non si abbattono mai».

 

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