Il settimo giorno di Michael Kenna

Non ci sono persone, nelle sue fotografie, né volti o corpi. L'attenzione è sulle pure linee, sulle nitide geometrie, sui contrasti, alternativamente duri o soffusi
Kenna
Inglese, ma americano d’adozione, Michael Kenna è uno dei maestri internazionali della fotografia di paesaggio.«Da quando conosco il lavoro di Michael – sottolinea il curatore della mostra ospitata a Reggio Emilia, Sandro Parmiggiani -, vi ho sempre immediatamente colto, e amato, una sorta di respiro lento e profondo del mondo, come se il silenzio fosse finalmente sceso sulla terra». Nasce da questo anelito il titolo dell’esposizione Immagini del settimo giorno, proprio come nel libro della Genesi, dove Dio, completata la creazione del mondo, si riposa.

 

Ciò che noi sbrigativamente e con scarsa consapevolezza chiamiamo paesaggio è come se attraverso le immagini di Kenna si offrisse a noi nel suo incanto segreto e nella sua essenza più vera. Non ci sono persone, nelle fotografie di Kenna, né tantomeno volti e corpi che sviino la nostra attenzione dalle pure linee, dalle nitide geometrie, dai contrasti, alternativamente duri o soffusi, tra luce e ombra, tra il biancore assoluto di una neve che tutto ammanta e la drammatica cupezza di rocce, di isole, di spiagge, di livide distese d’acqua.

 

 

In occasione della quinta edizione di Fotografia Europea, l’esposizione presenta 290 fotografie in bianco e nero che ripercorrono tutto l’iter creativo di Kenna. Tra queste, 200 costituiscono il vero e proprio percorso antologico, 35 documentano lo sguardo sul territorio reggiano, frutto di ricognizioni sul campo compiute negli ultimi tre anni, 35 si misurano con il perenne fascino di Venezia e 20 ripropongono uno dei cicli storici di Kenna, quello sui campi di concentramento e di sterminio nazisti.

 

Si inizia dalle immagini scattate nella natia Inghilterra negli anni Settanta e Ottanta, nelle quali si sofferma sui paesaggi urbani e su quelli di campagna: un’atmosfera di nebbie e di fumi, catturati in quell’indefinibile momento del crepuscolo o dell’alba. La linea dell’orizzonte è sempre lontana, con la terra disseminata di segni (alberi, pali, lampioni, giunchi che emergono da uno stagno, un’altalena solitaria, delle sedie ripiegate) che si protendono come simboli, e che misurano la profondità del campo visivo. Nei paesaggi urbani sono le strade lastricate, il nero profilo degli edifici sullo sfondo o quello bianco di un corrimano lungo un’erta salita, a guidare con forza magnetica l’occhio che s’inoltra nelle profondità dello spazio.

 

Le cupe silhouette di un impianto industriale nel Michigan e le inquietanti forme conico-trapezoidali della centrale elettrica di Ratcliffe nel Nottinghamshire, che Michael affronta negli anni Novanta, sono i prodromi delle sue indagini sulle metropoli (New York, Shanghai, Hong Kong, Dubai, Rio de Janeiro) o sui ponti che a Parigi, a Praga, a New York uniscono le due rive dei fiumi che le attraversano. Altre volte, è quel che resta di perdute civiltà lontane, o di creazioni a noi più vicine nel tempo, ad affascinarlo – le piramidi egizie e maya, le statue dell’Isola di Pasqua, i mulini a vento contro cui combatté Don Chisciotte nella sua Mancia, il profilo del monastero di Mont-Saint-Michel, le statue abbandonate a se stesse nei giardini di Francia, il carro di Apollo a Versailles, colto mentre sembra uscire dalle acque, le sinistre rovine del Désert de Retz, le costruzioni solitarie di San Pietroburgo –, a evocare brandelli di memorie lontane.

 

Non si può dimenticare il ciclo de L’impossibile oblio che Kenna ha sentito il dovere di realizzare, recandosi nel corso degli anni Novanta sui luoghi dei campi di concentramento e di sterminio nazisti: personale testimonianza, memento di un uomo che sa quanto preziosa e necessaria sia la trasmissione della memoria.

 

MICHAEL KENNA, Immagini del settimo giorno. Reggio Emilia, Palazzo Magnani, fino al 18 luglio (catalogo Skira)

 

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