Il senso della vita

Tra sceinza e fede, un piccolo libro del grande scrittore e filosofo russo Lev Tolstoj. Che anticipa sensibilità e domande d'oggi.

Durante una trasmissione televisiva, qualche tempo fa, il celebre tenore Andrea Bocelli ha indicato al pubblico il libro che ama maggiormente e sul quale torna di continuo: La confessione. Un testo breve, ma di rara densità, che gli dà la possibilità di confrontarsi, senza autoinganni né menzogne, con sé stesso e le questioni importanti della condizione umana. L’autore, Lev Tolstoj, nato a Jasnaja Poljana in Russia nel 1828, ha elaborato il testo in una cornice culturale drammatica e in rapido mutamento per la civiltà occidentale. Il racconto, di genere autobiografico, sul filo del dialogo aperto verso i risultati raggiunti dalla scienza dell’epoca, espone la conversione religiosa dello scrittore. La vicenda anticipa i problemi che toccano da vicino ogni uomo moderno, la cui vita dipende sempre più dallo sviluppo della scienza in ogni campo. Essa, con il suo potere e i suoi limiti, incide profondamente negli stili di vita e nella mentalità delle persone, come sperimentò fin da giovane Tolstoj, proprio negli anni in cui si stava sviluppando il positivismo, ossia quella fiducia quasi religiosa nella scienza e nel nuovo mito del progresso, sull’onda travolgente del darwinismo e delle scoperte della fisica e della biologia, tra fine Ottocento e primo Novecento. Nelle pagine iniziali del libro l’autore confessa di aver perduto la fede durante la sua giovinezza all’università. Pur educato nella religione cristiana (ortodossa), in realtà non aveva mai fatto davvero i conti con la fede, e ora, da giovane universitario, osserva che in molti adulti la fede genera un contrasto stridente con il loro effettivo modo di vivere. Anzi, chi si dichiara religioso appare spesso, nella pratica, una persona ottusa, arrogante, immorale, crudele, che si serve della fede per scopi e fini mondani, favorendo l’ateismo in un mondo che si va intimamente scristianizzando. Al contrario, intelligenza, onestà, bontà e rettitudine si possono riscontrare anche in persone che si dichiarano non credenti. Allora egli si rivolge con passione alla propria realizzazione fisica, intellettuale e professionale, in competizione spregiudicata con gli altri. Fino a quando, inaspettatamente, scopre che tutto ciò non dura e verifica l’impatto con il lato anche imprevedibile dell’esistere: un insuccesso, un dolore, una malattia, la morte di una persona cara. Si scopre vulnerabile, si chiede chi può rispondere alla domanda sul senso della vita, cosa possono fare la volontà di potenza umana, la ragione e la scienza di fronte alla mortalità strutturale di tutte le cose nell’universo. Davanti a questa condizione, in precedenza del tutto trascurata e incompresa, Tolstoj riscontra quattro vie d’uscita principali. La prima è rimanere nell’ignoranza sul perché del proprio esistere. La seconda consiste nell’affogare ogni richiesta di senso nell’edonismo radicale, attraverso il godimento egoistico, la cura esasperata del corpo, il culto della propria immagine e del benessere. La terza via d’uscita, intrapresa da un numero ristretto di persone, di solito benestanti e colte, che si distinguono dal popolo disprezzato, conclude che la vita è un assurdo, uno scherzo di pessimo gusto, un male assoluto prodotto maldestramente chissà da chi o da che cosa, e quindi sceglie il suicidio, stimando la condizione dei morti migliore di quella dei vivi. La quarta, infine, consiste nel continuare a trascinare la vita nella finzione e nell’inautenticità, sul presupposto indimostrato che la scienza avvalori, in fondo, tali stili di vita, perché essa, rifacendo a ritroso il percorso dell’evoluzione, scompone e riduce le strutture complesse, inanimate e animate, a elementi e particelle isolate, senza trovare alcun senso o scopo (riduzionismo materialistico). Si profila così il paradosso conoscitivo che contrassegna la scienza nella modernità, ossia la distanza abissale tra il lato luminoso della conoscenza scientifica, e la povertà della sua risposta su ciò che interessa più da vicino: sapere perché vivere e quale sia il significato dell’esistenza. Di qui la necessità di uno sguardo d’insieme, di un dialogo costruttivo tra i diversi livelli di conoscenza (scientifico, filosofico, teologico), nel rispetto dell’autonomia e della libertà di ricerca. In tale prospettiva la fede si rivela a Tolstoj come la saggezza più profonda dell’umanità , in quanto offre la soluzione dinamica e sempre rigenerante al problema della vita, dona la gioia di vivere nella relazione di condivisione umana e civile con gli altri, offre un senso ragionevole alla grande connessione dell’universo, dalle particelle elementari alle sterminate galassie, dagli organismi viventi alla coscienza spirituale umana, rendendo possibile il contatto significativo tra il terreno e l’eterno. Anche se non approda ad una visione propriamente cristiana della vita, Tolstoj offre al lettore un serio percorso di ricerca del senso religioso dell’esistenza. Secondo lui, la fede che cerca la ragione e la orienta ci libera dalla separazione distruttiva tra culture, civiltà, fanatismi e dalla vertigine della solitudine cosmica, con l’esperienza della connessione per amore (religio in latino) con la trama segreta di tutte le cose, facendoci scoprire che Dio è Dio di tutti. Egli è colui senza il quale non si può vivere. Conoscere Dio e vivere è la stessa cosa. Dio è la vita.

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