Il selvaggio dell’Aveyron

L’appartata regione centro-meridionale della Francia è stata scenario di uno dei più affascinanti “casi” di psicologia e pedagogia, un vero “classico” nel suo genere
Il ragazzo selvaggio

Parte della regione dell’Alvernia, nella Francia centro-meridionale, il dipartimento dell’Aveyron è caratterizzato per poco più di un terzo da zone montagnose (punto culmine ai Cazalets, 1.463 metri), mentre i due terzi restanti sono occupati da colline e altopiani, questi ultimi costellati da cinque laghi artificiali. Boscoso il territorio, percorso dai fiumi Lot, Tarn e Aveyron, da cui il nome del dipartimento. Poche e verdeggianti le vallate. Il capoluogo è Rodez, città dal passato bimillenario: la sua fondazione risalirebbe infatti al V secolo a.C., quando la popolazione celtica dei ruteni, proveniente dall’Europa centrale, si stabilì a sud dell’Alvernia per fondare un oppidum caratteristico della civiltà gallica.

Terra di castelli, borghi medievali e bacini minerari (carbone e zinco; rame, piombo e argento), tuttora piuttosto appartata per la scarsità di vie di comunicazione, l’Aveyron ebbe vasta risonanza in Europa nel 1798, quando sui monti Lacaune, nella regione del Roquefort, tre cacciatori catturarono un ragazzo completamente nudo dell’apparente età di dodici anni, cresciuto in solitudine tra quei boschi. Condotto qualche tempo più tardi a Parigi, i curiosi della capitale che si aspettavano da lui il "buon selvaggio" teorizzato da Rousseau s’imbatterono invece in un essere in preda alle convulsioni, che mordeva e graffiava chiunque gli si avvicinasse, amava giacere in mezzo ai suoi escrementi ed era dotato di funzioni sensoriali e intellettuali così ridotte da porsi «molto al di sotto di alcuni dei nostri animali domestici», si legge in una testimonianza dell’epoca.

Insomma, sarebbe finito in un ricovero per idioti se un giovane medico, Jean Itard, seguendo un impulso al tempo stesso scientifico e umanitario, non avesse ottenuto di tentarne l’educazione. Per quattro anni, lottando contro gli insuccessi, egli usò i più ingegnosi espedienti per stimolare la socializzazione, la sensibilità nervosa e le emozioni dell’allievo, ribattezzato intanto Victor, per suscitare in lui l’imitazione e l’uso della parola, nonché per estendere la sfera delle idee ed esercitare la funzioni dello spirito al fine di un’istruzione.

A questo sforzo quasi epico per strappare Victor alla sua condizione di selvaggio, corrisposero solo parziali – ma non perciò meno ammirevoli – risultati, ai quali purtroppo, dopo l’interruzione delle cure, non seguirono ulteriori progressi. Egli, infatti, fu prima ospite della Scuola dei sordomuti, poi andò a vivere presso la donna che gli aveva fatto da governante. La morte lo colse in ancor giovane età, nel 1828.

Col tempo, le certezze iniziali di Itard, celebrante il lavorio della Civiltà che, attraverso nuovi bisogni, crea nuove idee, si erano andate incrinando davanti alle resistenze insormontabili che il suo programma educativo incontrava, e all’ostinato rimpianto che il suo protetto sembrava nutrire per i boschi: dramma di un uomo affezionatosi a quella creatura e al tempo stesso di uno scienziato che avrebbe voluto aiutarla ad inserirsi nella società civile, ma nel suo sforzo impotente era arrivato anche a chiedersi fino a che punto ne sarebbe risultato un vero vantaggio per la sua felicità.

Da questo celebre caso di psicopedagogia il regista Truffaut ricavò anni or sono il film Ragazzo selvaggio. Oggi però il termine Lacaune fa venire in mente, più che il Victor di Itard, una rinomata razza di pecore esportata in numerosi Paesi del mondo e perno intorno a cui ruota l'economia dell’intera regione.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons