Il segreto di cure efficaci

100 storie di “salutare” medicina in Italia. L’esperienza dell’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma
Copertina del libro L'amore che cura

Buona sanità

 

 

Tra mille storie di malasanità, sprechi, degenti morti e Regioni al collasso per le spese sanitarie, il settore sembra vivere in Italia un fallimento su molti fronti. Eppure, esistono persone e strutture di buona sanità in ogni città d’Italia. Ne dà prova un volume. Francesca Giordano, responsabile per l’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma di “Sviluppo identità aziendale e Bilancio sociale” ha curato insieme a Lucia Circi un bel libro dal titolo “L’amore che cura”, che raccoglie 100 storie di buona medicina raccontate dai professionisti della sanità che «sono – scrive Francesca Giordano nell’ introduzione – solo una piccola parte delle innumerevoli storie positive che tutti i giorni accadono nel nostro ospedale e in tutti gli ospedali d’Italia e del mondo». Sono fatti che documentano come la relazione tra sani e malati, per chi ha la capacità di attraversare il tunnel del dolore, possa diventare una relazione autentica tra persone che condividono un tratto di strada comune sospinti dalle circostanze della vita che li hanno fatti incontrare.

 

Le storie narrano vicende realmente accadute a primari e giovani medici, caposala e infermieri, tecnici, ostetriche e fisioterapisti ed offrono, pur nella diversità, una comune scoperta: «La sofferenza, se condivisa in una rete di legami affettivi, è davvero curata e sollevata, diventando per tutti più umana e sostenibile». E la possibilità di essere guariti passa attraverso la cura dell’attenzione, della comprensione, del calore dei curanti che sanno riconoscere nel malato una persona. È così possibile umanizzare la malattia, come ben espresso dal motto francese: «Curare spesso, guarire qualche volta, confortare spesso». Ma messa in moto la prassi dell’amorevolezza nasce l’esperienza della reciprocità, del dare e ricevere allo stesso tempo, che alimenta sotto l’aspetto motivazionale gli operatori sanitari in una nuova dimensione di senso del loro lavoro.

 

«In questo doppio beneficio – scrive Francesca Giordano – forse sta il dato più sorprendente delle testimonianze: il rovesciamento della concezione della cura da movimento unidirezionale dell’operatore verso il paziente alla scoperta di una bidirezionalità profonda». E la relazione di reciprocità sembra essere per la Johns Hopkins University di Batimora «il paradigma medico per il 21esimo secolo centrato sul rapporto». Si tratta, insomma di coniugare nella relazione di cura le tre virtù della professio, humanitas e compassio, cioè professionalità, umanità e compassione.

E si intuisce che relazionarsi secondo la filosofia e la prassi della Regola d’oro: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” diventa «una risorsa non solo per ripensare la missione sociale della sanità, ma per rifondare lo stesso patto sociale in quanto tale su un’idea di con-vivenza degna di questo nome».

 

Le storie

 

Oltre la burocrazia

 

«Mentre ero nel mio ambulatorio di Vestibologia mi si avvicina una signora con il viso molto preoccupato e mi spiega che è stata inviata da me per eseguire un esame vestibolare urgente a sua figlia Simona che sta molto male. Cerco di spiegarle che ho già tanti pazienti prenotati. Poi vedendola disperata, le dico di far salire sua figlia che aspettava in macchina. Simona, una bella ragazza ventenne, entrò barcollando nello studio e si mise subito a sedere sulla sedia di visita. La prima cosa che notai fu che la pupilla sinistra era molto più grande della destra. A questo punto la inviai al Pronto Soccorso per gli accertamenti del caso. Non seppi più niente di Simona, travolto dalla mia routine ospedaliera. Diversi anni dopo venne a visita presso il mio studio una signora accompagnata da un’amica. Questa appena mi vide mi disse: «Lei ha salvato la vita di mia figlia». Era la madre di Simona e mi spiegò che poche ore dopo la mia visita la figlia era stata operata con successo per una emorragia intracranica in atto. E se quel giorno non avessi avuto tempo per una madre così agitata? Simona e sua madre non le dimenticherò mai e credo che loro non dimenticheranno me». (Stefano Cittadini – Dirigente medico)

 

Esserci e basta

 

«Beatrice è una bambina che ha subito un incidente stradale in cui sono morti la mamma e un fratellino. Ha 4 anni, una gamba rotta e uno sguardo che chiede aiuto. È sotto shock e non parla. L’ho incontrata nel reparto di Ortopedia. Le sono stata semplicemente accanto, tenendole la mano e abbracciandola di tanto in tanto. Non avendo familiari a Roma, era totalmente sola con il suo dolore indicibile per quella doppia perdita improvvisa e immensa. Abbiamo passato insieme una giornata e quando ci siamo lasciate nei suoi occhi c’era un segno di vita che la mattina era completamente assente. Non riesco a spiegare quanto questo piccolo risultato mi abbia resa felice. Non l’ho più vista perché è tornata in Calabria con il papà. Probabilmente si sarà dimenticata di me e adesso sarà una signorina, ma io ce l’ho nel cuore e ogni tanto penso a lei con affetto. E ancora oggi quell’incontro mi restituisce la soddisfazione e il senso del mio lavoro». (Marina  Cicerchia – Infermiera professionale)

 

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