Il rabbino e l’amico papa. Intervista a Skorka/2

Il dialogo, spiega il rettore del Seminario Rabbinico Latino-americano di Buenos Aires, non significa essere d'accordo su tutto perché non sempre è possibile. Significa invece accettare gli altri con le loro posizioni e arrivare ad un accordo
Papa Francesco

Proponiamo la seconda parte dell'intervista al rabbino Abraham Skorka, rettore del Seminario Rabbinico Latino-americano di Buenos Aires e caro amico di papa Francesco.

Nel corso di questi momenti di confronto, nonostante la vostra amicizia, non penso vi siate trovati sempre d’accordo su tutto…
«In effetti basta leggere il libro con un po’ di attenzione per vedere che su alcune questioni abbiamo posizioni diverse. Senza dubbio, abbiamo un’idea etica e antropologica di base che è condivisa, ma non siamo d’accordo su tutto. Un esempio può essere quello dell’aborto. Entrambi, come cristiani ed ebrei, abbiamo la convinzione chiara e condivisa che la vita ha una dimensione assolutamente sacra. Ma in ambito ebraico, secondo me, abbiamo posizioni sulla questione meno rigide della Chiesa cattolica. Allora come ci comportiamo? Ci ascoltiamo, analizziamo la posizione dell’altro e la rispettiamo. Se non siamo d’accordo su tutto dobbiamo dialogare e renderci conto che abbiamo e possiamo mantenere opinioni diverse. In varie occasioni, Bergoglio mi ha detto: “il discorso unico, esclusivo, è la caratteristica delle dittature”. Sono della stessa opinione. Dobbiamo accettare gli altri con le loro posizioni e arrivare ad un accordo. Questo è il dialogo».

Lei da anni è in prima fila nell’impegno del dialogo ebraico-cristiano ed interreligioso. Quale il prossimo passo?
«Sto proprio scrivendo un articolo dal titolo ‘the next step’, il prossimo passo. Rifletto sulla risposta ebraica alla proposta dialogica di papa Francesco. Mi pare non ci siano dubbi che lui è pronto ad andare avanti nel dialogo e lo fa con coraggio. Lo ha mostrato con passi precisi. Per quanto mi riguarda, per esempio, ha proposto alla Università Cattolica dell’Argentina di cui era Gran Cancelliere, di assegnarmi un dottorato Honoris Causa. Tuttavia, mi pare si debba lavorare su diversi fronti per costruire un nuovo capito nel nostro dialogo ebraico-cristiano».

Quale può essere la base su cui costruire questo impegno rinnovato?
«Senza dubbio, la questione chiave su cui lavorare insieme è la grande crisi di valori, che direi è cominciata prima della Seconda Guerra mondiale per arrivare, dopo il confitto, ad un processo di progressivo e rapido svuotamento di valori umani in tutto il mondo. Mi pare che oggi questo sia l’aspetto più drammatico dell’umanità, che, come persone di fede, siamo chiamati ad affrontare.

Proprio qui sta il grande successo dei primi mesi del papa Francesco. Viene in evidenza la necessità sia dei valori umani, che sta proponendo con semplicità e chiarezza, sia della presenza di veri testimoni. E papa Francesco lo è. Con le sue parole ed i sui gesti mette sempre più in rilievo come la gente sia stanca di messaggi superficiali. L’uomo desidera vivere per ideali superiori che permettano di trovare delle ragioni alle grandi domande esistenziali. È su questo che dobbiamo lavorare e per questo dobbiamo vivere».

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