Il popolo della rete. O no?

I navigatori di internet formano un blocco sociale coeso e monolitico, contrapposto a "quelli della tv"? E chi è in grado, oggi, di cambiare il mondo? Qualche considerazione controcorrente
internet rete
L’espressione "popolo della rete", con le sue varianti popolo del web, popolo di internet ecc. viene sempre più spesso pronunciata per cercare di individuare un particolare blocco sociale che sta pian piano prendendo, nell’immaginario collettivo del nostro Paese, una fisionomia ben precisa.

 

È stata utilizzata dopo l’approvazione della finanziaria, durante le proteste per la Tav in Val di Susa, dopo gli esiti referendari del 12 e 13 giugno scorsi, dopo le comunali e in diverse altre occasioni. Anche per le vicende legate ai rifiuti di Napoli, in particolare il movimento CleaNap nato su Facebook, composto di persone che si riuniscono per ripulire le strade dalla spazzatura, si è parlato di popolo della rete.

 

Dunque, il popolo della rete dovrebbe essere tutte queste cose insieme e molte altre: No Tav, a favore di una democrazia partecipativa, coinvolto nella costruzione attiva del bene comune…

L’espressione appiattisce però un fenomeno ben altrimenti complesso, sottintendendo l’idea di un insieme di persone coeso, compatto, monolitico ma, soprattutto, contrapposto a qualche altro insieme, a qualche altro popolo, quello di chi non fa parte della Rete, e che potrebbe trovarsi ad essere percepito come nemico.

 

Cerco di spiegarmi meglio attraverso una riflessione letta nel blog di Wu Ming (collettivo di scrittori noti per diversi romanzi, tra cui Q e Manituana) il 17 giugno scorso, che fa riferimento al dibattito successivo ai referendum: «Il problema dell’esultanza di questi giorni sul ruolo della rete e del popolo della rete è la riduzione del molteplice a Uno: “LA rete”, “IL popolo della rete”… come se Internet fosse una cosa, e chi la usa fosse un blocco sociale contrapposto a un altro».

 

L’altro, l’antagonista, nell’analisi di Wu Ming è la televisione, come viene percepita in Italia: centro di potere politico e impoverimento culturale. Il rischio, di fronte a questa impostazione, potrebbe essere quello di banalizzare, riducendolo ad una contrapposizione (popolo della Rete contro popolo della televisione per esempio), una dinamica complessa che gli studiosi più attenti, come Henry Jenkins, definiscono invece “convergenza”.

 

La convergenza è un modello che descrive una realtà, quella all’interno della quale ci troviamo oggi, in cui tv e internet non sono in lotta tra loro per cannibalizzarsi, ma interagiscono in modi complessi, generando fenomeni spesso contraddittori: risultati creativi innovativi, come girare un film con l’iPhone e mostrarlo ad un festival sul grande schermo, ma anche fatti mortificanti e degradanti, come gli episodi di bullismo ripresi e caricati su youtube, raccontati tante volte dai giornali.

 

La Rete è certamente un luogo che consente possibilità di espressione individuali e collettive finora inedite, ma è al contempo un mercato entro cui operano grosse corporation che ogni giorno di più accentrano in poche mani il potere e le risorse economiche generate dal flusso delle comunicazioni globali.

 

Il cambiamento in atto va letto quindi tenendo presente che assistiamo e partecipiamo ad un fenomeno attraversato da spinte opposte: la libertà e i rischi per la privacy, la creatività e la mortificazione pubblica di chi è più debole o meno preparato alla novità, la carica partecipativa ed i grossi interessi economici.

 

Oltre a ciò, va tenuto presente che Internet non è un medium isolato, in quanto fa parte di un sistema più ampio di media che dialogano e "convergono" tra loro. «Internet – chiude il suo intervento Wu Ming – non è un altro mondo, è questo mondo».

 

Questa mi sembra la giusta prospettiva da cui osservare ciò che ci succede intorno, per non credere che ci sia un popolo di twitter che guida le rivoluzioni sociali nel mondo arabo o un popolo di facebook che fa cadere un governo o vincere un referendum da qualche altra parte del pianeta, ma che invece sono le persone, in carne e ossa, a cambiare il mondo. Questo.

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