Il popolo degli arresi. L’inoccupazione dei “non più giovani”

Un dramma che colpisce quasi la metà della popolazione under 40 e rischia di distruggere il futuro di un'intera generazione. I dati dell'Istat puntano i riflettori sulla fascia d'età compresa tra i 15 e i 24 anni. Ma il dato allarmante riguarda la generazione successiva, su cui troppo spesso si tace
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L’anno nuovo si apre con un dato preoccupante: la disoccupazione giovanile in Italia ha registrato nel mese di novembre il picco storico. Il 37,1 per cento della popolazione tra i 15 e i 24 anni si trova a spasso secondo i dati Istat. Il termine potrebbe sembrare inappropriato, l’etimologia ne rivela infatti un significato insolitamente positivo: divertimento, trastullo, ricreazione, svago, diletto. Ma alla condizione dei giovani di oggi calzano poco i possibili sinonimi, per quanto molti ed illustri personaggi abbiano dipinto questa generazione come un baldo gruppo di mammoni, bamboccioni, schizzinosi e viziati figli di papà. I giovani di oggi sono a spasso nelle strade, trascorrono le mattine inoperose nella ricerca spasmodica di una possibile occupazione, in fila negli uffici di collocamento, negli sportelli di orientamento al lavoro, sui siti web dedicati, sempre in corsa nella consegna dei curricola o nella sala d’attese di improbabili colloqui.

Se, infatti l’Istat punta la lente di ingrandimento sulla fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni, trascura di mettere in luce la condizione della generazione subito successiva e oltre. La disoccupazione giovanile è infatti meno allarmante di quanto non sia la disoccupazione dei trentenni o dei quarantenni. L'Italia vanta infatti il triste record del numero di disoccupati nella fascia d'età compresa tra i 25 e i 54 anni: i dati Istat parlano del 15,9 per cento, con un aumento dell'1,4 per cento rispetto ai dati del 2008. È questo l’indice sensibile, la cartina al tornasole di uno stato delle cose in cui la crisi miete vittime del lavoro e diventa difficile ricollocarsi.

E mentre i dati delle statistiche sono resi pubblici, dilaga la polemica relativa alle assunzioni della multinazionale McDonald's. L'azienda porta avanti da qualche settimana uno spot pubblicitario che afferma: «L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro; 3000 nuovi posti li mettiamo noi». Non male come iniziativa, se non fosse che i 3000 nuovi posti sono in realtà precari. Ma la Fornero replica: meglio posto a tempo determinato, che nulla.

Alessandro ha 35 anni e non condivide l’opinione del ministro del Lavoro. Da più di dieci anni era un commesso nel negozio di ottica di famiglia: una piccola attività che ha mantenuto due generazioni e che ora è fallita. Chiediamo cosa pensa di fare, come pensa di poter ricollocarsi nel mondo del lavoro. «Non so cosa fare – è la sua risposta –. Da più di due mesi non percepisco uno stipendio. Mi sento sconfitto: ho provato a cercare una nuova collocazione. Ho inviato numerosi curricula e sostenuto tantissimi colloqui, ma ogni volta mi vengono proposti contratti a tempo determinato. Contratti che potrebbero andare bene per uno studente o un giovane alle prime esperienze. Ma io ho delle responsabilità, delle spese, come posso sostenerle se non ho la certezza del lavoro?». L'opinione sugli strumenti con cui lo Stato si propone di aiutare chi è alla ricerca di un’occupazione non lo soddisfano: «Gli uffici di collocamento e le agenzie interinali non servono a nulla: non fanno che peggiorare la situazione della precarietà. D’altra parte io capisco le aziende che non assumono: in questo momento di crisi il rischio è troppo elevato».

Una situazione, quella dell'assidua ricerca di un'occupazione, condivisa da tanti suoi coetanei. «La situazione è simile per molti miei amici. Francesco ha la mia età ed è disoccupato da due anni. Quello che ci salva è avere una famiglia alle spalle: l’unico sostegno che riceviamo, perché lo Stato è completamente assente». La domanda su chi voterà alle prossime elezioni è d'obbligo in questo periodo. Lui però non si sente garantito da nessun candidato, perchè troppo distante dalla sua realtà esistenziale.

Un sentimento generale di sfiducia e fallimento si percepisce nella sua voce durante tutta l'intervista. Perchè? È l'interrogativo costante di fronte a queste nuove generazioni costrette continuamente a ridimensionare i propri sogni mentre avanza pericolosamente un sentimento di resa, di piena sconfitta, di sfiducia nella formazione e nell'impegno. E la felicità da che parte o a che età può esserci?

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