Il padre di Pinocchio

“La casa di Geppetto stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala… Il Pinocchio burattino nasce pialla d’un modesto falegname toscano: un tipo un po’ frugale, burbero, un po’ solitario, che aveva moglie e non aveva figli Il Pinocchio letterario nasce penna d’un uomo che, a quel Geppetto, assomigliava assai: un borghese tranquillo che a Firenze conduceva un’esistenza non troppo avventurosa, anzi un po’ grigia; uno scrittore eccelso che lavorava come impiegato statale in Prefettura. Uno che, usare le sue stesse parole, si definiva: “Un vegetale che nasceva e fioriva abbarbicato tenacemente fra le del lastricato della sua città”. Con l’uscita del nuovo film Benigni, Pinocchio è tornato alla ribalta grande stile. Come è successo sempre passato – sia con le varie edizioni illustrate, sia con il cartone animato di sia con lo sceneggiato televisivo Comencini – anche questa volta, la burattino di legno ha oscurato quella suo creatore artistico. Quel Carlo Lorenzini, più conosciuto col nome Collodi. Ora un libro di Rossana Pinocchio e Collodi (Bruno Mondadori), cerca di rendere un po’ di giustizia all’autore. Intanto facendo uscire la sua vita da quel grigiore in cui è sempre stata avvolta: da bambino Collodi è “l’alunno più irrequieto e impertinente della scuola”; da ragazzo ha una debole vocazione sacerdotale: poi, uscito di seminario, si scopre spirito laico e anticlericale; da giovane è “mazziniano sfegatato ” che partecipa come volontario alle guerre d’indipendenza; da uomo conosce momenti di sbandamento: si dà al bere, frequenta diverse attrici e “donnine”. Carlo Lorenzini nasce a Firenze nel 1826 da una famiglia alquanto modesta. Sua madre Angiolina, sebbene maestra elementare, lavorava con il marito Domenico come domestica presso una casa di nobili. Quella Quella dei Lorenzini fu una famiglia numerosa e sfortunata: ebbero dieci figli, sei dei quali morirono da piccoli. La madre, dal carattere dolce, certamente superiore in qualità ed intelligenza al padre, occuperà un posto molto significativo nella vita di Carlo. Egli infatti appena diventato giornalista si firmerà con lo pseudonimo Collodi, nome del paese natale materno; e quasi ossessionato da un vero e proprio complesso materno rifiuterà per tutta la vita di sposarsi per vivere sempre accanto a lei. L’ambiente familiare influenzerà la sua opera principale: Pinocchio nasce senza una mamma, solamente da papà Geppetto: forse per ricompensare letterariamente quel padre che nella vita reale è stato assente, messo totalmente in ombra dalla madre; la quale invece – figura dominante e adorata – diventa l’immagine dell’eterea Fata Turchina. Il giovane Carlo fa vari mestieri: lavora presso una casa editrice, poi nei servizi amministrativi di Firenze, più in particolare presso l’ufficio della censura teatrale (fatto curioso proprio per lui, mancato scrittore di teatro e insofferente della censura in prima persona) ed infine in Prefettura. Scrive, ma la sua attività letteraria pur diligente e costante è, per un lungo periodo, assai medio- cre. Poi Collodi traduce dal francese, per un editore fiorentino, le fiabe del Perrault. È l’inizio dell’idillio. Quel lavoro lo avvicina al magico mondo della letteratura per l’infanzia, e gli fa scoprire la propria vocazione di scrittore. Pubblicò Giannettino, Minuzzolo, e così via… Libri felici, ma non di grande valore letterario, tutti compresi nella pedagogia dell’epoca di offrire un cumulo di cognizioni attraverso la finzione d’un racconto spigliato. Poi una sera… Collodi è seduto al tavolo nella libreria dell’editore Paggi. È triste, non parla. Un motivo c’è, anzi ce ne sono tre. Uno, ha bisogno di soldi; due, lui assai pigro, ha promesso di scrivere un racconto a puntate; tre, non ha né le idee e né la voglia di farlo. Ma ha bisogno di soldi… Proprio quella notte gli torna alla mente un ragazzo di strada, sudicio, che ha incontrato giorni prima: quel monello s’era tuffato in Arno, non per lavarsi, ma soltanto per infrangere i regolamenti municipali. Quella notte scrive. Poi, il giorno dopo, senza alcuna convinzione, porta all’editore il primo capitolo: “Come andò che maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino…”. Era nato Pinocchio. Una fiaba un po’ sui generis: non principi o principesse, ma un pezzo di legno magico che vive in un mondo quasi reale: fatto di botteghe d’artigiani, di scuole, di abbecedari, di poliziotti e prigioni, di furbi che ingannano ingenui, e d’una giustizia non sempre esemplare. Collodi non si rese conto d’aver messo mano ad un capolavoro. Anzi, nelle puntate che continuerà a pubblicare per un anno e mezzo, cercò di sbarazzarsi varie volte della sua creatura: appendendolo a un ramo di quercia, affogandolo come un asinello, dandolo in pasto a un pescecane, friggendolo nella padella del Pescatore Verde, o cucinandolo come arrosto per Mangiafuoco. Ma il burattino di legno era ormai dotato di vita propria e dimostrava di saper sopravvivere anche al suo autore. Che invece morì improvvisamente nel 1890 per un colpo apoplettico, mentre stava lavorando ad un altro romanzo per ragazzi. Erano passati sette anni dalla pubblicazione del libro presso l’editore Paggi – con le celebri illustrazioni di Enrico Mazzanti – e Collodi non riuscì a godere minimamente dei vantaggi economici derivati dal successo della sua opera. Il nome di Carlo Lorenzini non apparterà mai all’Olimpo dei “grandi scrittori”. Il suo modo di scrivere un po’ picaresco, un po’ pedante, che tentando di educare accompagna il racconto con un’ironica smorfia burlesca, non è certamente eccelso. Ma il suo Pinocchio è diventato un caso mondiale: in Italia non solo è il libro più venduto dopo I promessi sposi, ma alcuni personaggi minori – il Grillo Parlante, Mangiafuoco, la Fata Turchina, Il Gatto e la Volpe – sono entrati a far parte del patrimonio culturale popolare. Uno strano destino sembra accomunare alcuni scrittori. Hans Christian Andersen e Collodi ad esempio, pur con le debite distanze. Entrambi non avevano mai pensato di scrivere per l’infanzia, è successo per caso; e in quel campo sono diventati dei maestri, anche se la loro ambizione letteraria era un’altra, il teatro. E strano, strano… i loro nomi saranno per sempre legati al mondo dei bambini anche se loro, di figli reali, non ne hanno avuti. Ma, per nostra gioia, ne hanno creati di meravigliosi con la fantasia.

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