Il mussulmano e il crocifisso

"Il crocifisso rafforza la mia fede". Parola di Abdellah Redouane, Segretariato generale del Centro culturale islamico d'Italia.
Redouane

Abdellah Redouane è segretario generale del Centro culturale islamico d’Italia, che ha sede a Roma e ospita la più grande e importante moschea d’Europa. Il centro, l’unico ente islamico riconosciuto dallo Stato italiano con un decreto del presidente della Repubblica dal 1974, si occupa di vari servizi religiosi e culturali che riguardano la vita della comunità presente a Roma e nel resto del Paese.

 

La questione del crocifisso, della quale tanto si dibatte in questi giorni, fa capolino anche in un’intervista che il dott. Redouane ci ha concesso, e che dimostra, una volta di più, l’importanza strategica di tale riflessione.

«La presenza di un crocifisso non soltanto non mi offende, ma come credente posso dire di più, esso rafforza la mia fede. Grazie al crocifisso, io, musulmano, ho l’opportunità di ricordare gli insegnamenti del Sacro Corano e di riflettere profondamente sul mio credo personale che si rinvigorisce, e arricchisce la mia vita spirituale, rafforzandola. Anziché vedere nel crocifisso un’offesa, per i non credenti o per coloro che credono in un’altra religione, posso dire che questo simbolo diventa un’occasione di conoscenza per tutti. Vedere un crocifisso, simbolo nel quale si riconoscono i cristiani, deve ispirare rispetto verso questo simbolo, senza tradursi necessariamente in un’adesione alla fede che esso rappresenta, né in una “diminuzione” della propria fede. In ultimo vorrei ricordare che un musulmano non può dirsi tale, se non crede nei libri sacri che hanno preceduto il Corano e nei profeti che hanno preceduto Muhammad. Tra questi vi sono e il Vangelo e Gesù».

 

Nella grande biblioteca del Centro si conservano copie del Corano di varia fattura, libri e manoscritti che rendono tangibile una cultura millenaria. Anche la grande moschea, costruita dall’architetto Paolo Portoghesi, è ricca di segni che testimoniano la vita dei fedeli che qui accorrono da tante parti d’Europa per pregare, per conoscere, per vivere, coscienti di essere parte di una grande storia. Nessuno si sognerebbe di eliminare uno solo di questi “segni”. Il segretario generale continua così:

«Il problema vero riguarda la diversità, se la tolleriamo o meno. Dobbiamo essere coscienti che la diversità è presente dappertutto: anche tra noi musulmani c’è diversità tra sciiti, sunniti, siamo una galassia, ma al momento della preghiera ci rivolgiamo tutti ad Allah, tutti verso La Mecca. Così nel mondo cristiano ci saranno pareri diversi, com’è normale che sia, ma le questioni non si risolvono eliminando ciò che fa parte di una tradizione e di un credo non solo religioso, ma anche culturale, che si fa portatore di valori positivi. È necessario capire qual’è la nostra identità, che deriva da una storia, dalla vita di chi ci ha preceduto e che non può essere spazzata via così; è tramite questo tipo di cultura, con le sue ricchezze, che ci si può porre in dialogo con chi è diverso da noi».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons