Il mondo ha bisogno di Putin?

Riflessioni in margine al terzo mandato del presidente russo. Multilateralismo e scarsa democrazia nelle relazioni internazionali
Putin

Per molti il modo in cui Vladimir Putin è arrivato al terzo mandato presidenziale è scandaloso e per niente democratico. E hanno le loro ragioni nell’affermarlo. La Russia è il Paese col triste record di giornalisti ammazzati, dove al potere si arriva con spregiudicata determinazione e ricorrere a brogli elettorali non è certo una novità. Lo sapeva bene Boris Eltsin, che nel ’96 giunse in modo certo non limpido alla presidenza. E basterebbe poi ricordare, a proposito di Putin, gli attentati sospetti che hanno portato all’intervento in Cecenia e spianato la strada a Putin. Una guerra, quella della regione Ciscaucasica, che, in quanto a diritti umani, ci ha riportato e ci riporta ancora a epoche lontane.
 
Dunque Putin torna a installarsi come presidente ed è probabile che l’alternanza con Medvedev continui per un periodo piuttosto lungo. Questa continuità nel potere sta dicendo qualcosa allo scenario internazionale, così come lo farebbe una eventuale riconferma di Barack Obama alla Casa Bianca, il prossimo novembre.
 
In effetti, in un contesto nel quale gli Stati Uniti rappresentano un potere che, sebbene con segni di decadenza, continua a essere egemonico, soprattutto sul piano militare e industriale, Putin rappresenta la voce di una potenza capace di contrapporsi – e questo si deve soprattutto alle dimensioni del “continente Russia” – a tale potere. La corsa alle risorse naturali, in modo speciale a quelle energetiche, è tuttora in corso e il territorio russo, e quello della sua sfera di influenza, giocano un ruolo strategico importantissimo. La sua voce acquista un maggiore peso politico, perché si aggiunge a quella della Cina, oggi la vera potenza emergente con vocazione globale – ancora silenziosa e poco intellegibile nei suoi obiettivi per la diplomazia occidentale –, con un atteggiamento poco accondiscendente nei confronti di Washington. L’esempio concreto è la posizione di Pechino e di Mosca in merito al conflitto scoppiato in Siria e rispetto alla questione della politica nucleare dell’Iran. Vista la spregiudicatezza con la quale si è agito in Libia prima, e in Siria poi, con tutta probabilità, senza queste voci dissonanti, sarebbe già stato avviato un attacco preventivo all’Iran per neutralizzare i suoi progetti nucleari.
 
La continuità di Putin al Cremlino, dunque, stabilisce di fatto una linea di continuità politica che tende a limitare e temperare l’influenza della Casa Bianca, che si trasformerebbe altrimenti in un potere illimitato la cui tendenza, ricordiamolo bene, è quella di considerare come “subalterni” gli altri attori sul piano globale. Zbigniew Brzezinski, che tanta influenza ha avuto sulla politica estera Usa degli ultimi anni, nel suo testo La grande scacchiera (Longanesi), parla senza pudore di Stati «vassalli e tributari», riferendosi al gruppo di “gregari” desiderosi di eseguire gli ordini provenienti da Washington.
 
Questo multilateralismo di fatto, frutto dunque più della necessità che di autentiche virtù democratiche, permette che anche altri attori politici possano affacciarsi, senz’altro ancora timidamente, sullo scenario mondiale, acquistando poco a poco autorevolezza. È il caso dell’India e del Brasile, ad esempio. Questi Paesi sono espressione di popoli finora esclusi dagli ambiti di discussione internazionale. Tale presenza suppone anche un peso politico in organismi multilaterali nei quali filtrano altri criteri politici che non siano i rapporti di forza.
 
Tale risultato sembra forse poco per chi aspira a un consesso internazionale ispirato a valori più elevati dai limitati obiettivi della realpolitik. Ma intanto è la premessa indispensabile per poter avanzare in direzione di una maggiore democratizzazione della convivenza globale.
 

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