Il genocidio degli zingari

Un’iniziativa dell’UNAR e del dipartimento pari opportunità vuole ricordare il porrajmos, ma anche promuovere conoscenza e integrazione, troppo spesso avvelenate dai pregiudizi
zingari

La storia è uno specchio contraffatto che ci restituisce un’ immagine mutilata; una bambina capricciosa che racconta solo la versione che più le conviene. Il genocidio degli zingari nel periodo nazista è uno di quegli argomenti scomodi che la memoria collettiva ha rimosso, più sollecita a ricordare lo sterminio degli ebrei, da sempre protagonista della pesante eredità del secolo Novecento.

L’eccidio di Rom e Sinti ha origini molto lontane. Il nomadismo che interessa una buona parte di questi gruppi etnici ha da sempre causato difficoltà di integrazione nel tessuto sociale. L’abitudine ad una vita sedentaria, inaugurata alle origini della civiltà agricola e stanziale, ha delegittimato la pratica del nomadismo, disconoscendogli una sua dignità come modello di aggregazione sociale e attribuendogli il ruolo di pericolosa degenerazione dei regolari contratti civili.

Il primo editto per l’espulsione degli zingari risale al XV secolo, quando a Milano le autorità si pronunciarono motivate da emergenza sanitaria. Poco dopo in Inghilterra, Enrico VIII legalizzava la decapitazione degli zingari. Ma il primo vero sistematico sterminio degli zingari fu programmato durante il periodo nazista in Germania. Nel 1938 una circolare austriaca dichiarava: «Per motivi di sanità pubblica, perché considerati criminali, inveterati parassiti, un pericolo per il nostro popolo,(…) conviene vegliare per impedire di riprodursi e costringerli ai lavori forzati nei campi di lavoro» (per un approfondimento rimando al bel volume di Carla Osella, Rom e Sinti. Il genocidio dimenticato, edito da Tav editrice, per la collana Migrantes).

Parrajmos, la shoa degli zingari, conta ben 500 mila vittime di cui poco si conosce, o si vuole conoscere. Nessun risarcimento è stato ancora riconosciuto alle comunità Rom e Sinti, né sul piano economico né, ed è cosa ben più grave, su quello morale. A Berlino, il 22 ottobre dello scorso anno, l’ex cancelliere Angela Merkel ha presieduto all’inaugurazione del monumento alla memoria dello sterminio Rom e Sinti: una stele funeraria che scompare in una fontana rotonda dal fondale nero, simbolo dell’abisso di silenzio in cui rischia di precipitare la memoria di questa tragedia.

Ma un monumento fa ben poco: la tragedia dello sterminio degli zingari non è solo un evento di cui dare memoria, ma evidentemente ancora un’emergenza da scongiurare. Se non nei termini di un programmatico sterminio, l’integrazione delle comunità Rom e Sinti nelle nostre città causa ancora episodi di razzismo e intolleranza. Il tema scotta e nonostante i buoni propositi, poco è stato fatto per conoscere e avvicinare la cultura degli zingari.

 Un’iniziativa importante è Dosta!, una campagna di sensibilizzazione per combattere i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti dei Rom, Sinti e Camminanti, che ha toccato diverse città della penisola, patrocinata dal Consiglio d'Europa e coordinata e finanziata dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) del Dipartimento per le Pari Opportunità.

Il Terzo appuntamento è previsto a Roma, in occasione della Giornata della Memoria: musica, dibattiti e proiezioni di video del porrajmos per imparare a conoscere e amare il diverso, per demolire quell’apparato di stereotipi che hanno insanguinato la nostra storia e avvelenano il nostro futuro.

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