Il genio e la profezia di Matteo Ricci

"Scienza, ragione e fede. Il genio di Padre Matteo Ricci". Così Macerata ha ricordato nei giorni scorsi, uno dei suoi figli.
matteo ricci

Forse non è il più celebre dei suoi figli, ma senza dubbio è il più attuale. Ricci, infatti, gesuita vissuto a cavallo del XVI e XVII secolo, arrivato fino alla corte dell’imperatore a Pechino, resta uno dei simboli del «modo soave» di proporre il Vangelo ad altre culture.

 

Nella sua capacità di coniugare scienza, ragione e fede, il genio del missionario marchigiano ha offerto un modello di dialogo interculturale ed interreligioso che sta emergendo in tutta la sua ricchezza in un mondo, come quello attuale, alla ricerca di modelli credibili ed imitabili per un incontro costruttivo ed arricchente fra le culture. Lo sottolineava nei giorni scorsi Benedetto XVI in un messaggio a mons. Giuliodori, vescovo di Macerata, mettendo in rilievo «la profonda simpatia che nutriva per i cinesi, per la loro storia, per le loro culture e tradizioni religiose», che «ha reso originale e, potremmo dire, profetico il suo apostolato».

 

Ricci, tuttavia, non era un caso isolato. Era frutto di una scuola di pensiero con ricaduta sulla pastorale e sul metodo di evangelizzazione che va sotto il nome di «adattamento». Si trattava dell’onda lunga di quel «fatto culturale», che i gesuiti erano riusciti a creare in Europa con un nuovo sistema educativo, poi esportato con intelligenza ed avvedutezza nei vari continenti: soprattutto in Asia ed in America Latina. Insieme a Valignano che lo aveva accolto a Roma, a De Nobili e Beschi in India, a Ippolito Desideri in Tibet, a Ruggieri in Cina e ad altri meno conosciuti, intuì che il cristianesimo nelle sue forme ed espressioni – non nella sua essenza – poteva e doveva essere adattato al pensiero e alla cultura dei mondi con i quali veniva a contatto. Era, appunto, il «modo soave» di annunciare la Buona Novella. Lo avrebbero ripreso nel secolo scorso Paolo VI e Giovanni Paolo II parlando di «rispettoso annuncio».

 

Macerata ha celebrato il genio e la profezia di Ricci con un congresso che ha radunato, dal 4 al 6 marzo, studiosi di tutto il mondo e di varie discipline, che hanno affrontato le diverse sfaccettature del gesuita marchigiano. È emersa una figura dalla precisa identità cristiana, radicato nella cultura classica nella quale era stato formato, ma capace di cogliere quelle valenze universali di un altro mondo, nel cuore del quale era riuscito a introdurre il messaggio di Cristo, facendosi, al contempo, plasmare da esso, senza snaturare le proprie radici ed il proprio essere.

 

L’amicizia è stata un valore particolarmente caro al Ricci. Lo ricordava nel 2001 Giovanni Paolo II: «In quest’ora tornano attuali e significative quelle parole che il padre Ricci scriveva all’inizio del suo Trattato sull’Amicizia. Egli, portando nel cuore della cultura e della civiltà della Cina di fine 1500 l’eredità della riflessione classica greco-romana e cristiana sulla stessa amicizia, definiva l’amico come “la metà di me stesso, anzi un altro io”; per cui “la ragione d’essere dell’amicizia è il mutuo bisogno e il mutuo aiuto”».

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