Il cordone ombelicale è tagliato

Dopo l’incontro con Marchionne il governo dovrebbe uscire dall’aura di potere dell’azienda per finanziare altre idee innovative senza cedere a ricatti
marchionne

Il Marchionne un po’ stranito, con la cravatta di rito di chi va in Parlamento, si è comportato sempre più come il manager di una multinazionale e non di un’azienda nazionale,  e ha detto chiaramente che se non ottiene quanto desidera può andare altrove a mercanteggiare con altri governi i suoi insediamenti produttivi.

 

Le richieste dell’amministratore delegato della Fiat al governo italiano, per il momento, sono state contratti di lavoro che permettano il pieno utilizzo dei suoi impianti.  Un’esigenza quindi di tipo economico, anche se va precisato che il basso utilizzo degli impianti italiani non dipende tanto dalla scarsa produttività, ma dal fatto che, in un momento di surplus complessivo di produzione, è più conveniente tenere al massimo gli impianti all’estero dalla gestione più economica e scaricare il più alto costo del lavoro in Italia sulla cassa integrazione. Queste sono le armi che Marchionne ormai usa tutte le volte che può e se si vuole che continui a mantenere in Italia un’industria matura come quella automobilistica bisognerà giocoforza accettare.

 

Ma allora come mai in Italia tutti reagiscono quando la Fiat negozia come farebbe la Mercedes o la Ford in qualunque parte del mondo per un suo stabilimento? Perché ci si aspetta che la Fiat si comporti diversamente? La realtà è che non ci si vuol rendere conto che quel cordone ombelicale che collegava la Fiat Auto all’Italia è stato tagliato nel momento in cui il settore auto si è separato dalla altre attività industriali della famiglia Agnelli, e ha rafforzato il legame con la Crysler. Quindi la Fiat è diventata una società multinazionale e scandalizzarsi o implorare Marchionne perché non trasferisca la sede legale negli Usa, non fa altro che fornirgli un’altra arma di negoziazione.

 

Marchionne in effetti, nell’incontro con il governo, questa nuova arma l’ha subito usata, sostenendo che la sede rimarrà in Italia se avrà non solo di contratti di lavoro che assicurino ottima produttività, ma anche una finanza disponibile a fornirgli i capitali necessari agli investimenti: una condizione che in pratica ci pone sullo stesso piano negoziale della Serbia.

È certamente un nuovo segno. Chiuso il lunghissimo periodo in cui la Fiat è stata in qualche modo una società garantita dallo Stato, adesso con Marchionne cerca di mantenere vantaggi analoghi pur sostenendo che allo Stato non chiede nulla.

 

Società garantite dallo Stato sono in pratica le banche, che quando hanno profitti li dividono tra manager e soci e quando entrano in difficoltà è lo Stato che deve provvedere: esse sono depositarie di un servizio pubblico primario. Ma nel caso della Fiat non è così chiaro quale servizio pubblico renda effettivamente. Ora più che di servizio pubblico, possiamo parlare di potere politico e sindacale, poichè l’azienda ha saputo far pesare il numero di lavoratori impiegati cento volte più di altri imprenditori. Questo potere ha riempito l’Italia dei gas di scarico degli autotreni, obbligandoci ancora nel terzo millennio ad un trasporto merci su gomma di dimensioni abnormi e penalizzando al contempo lo sviluppo delle ferrovie indietro per investimenti e gestione di almeno cinquant’anni.

 

Più che implorare di tenere la sede legale in Italia, i sindacati e la politica dovrebbero chiedere conto a Marchionne di come pensa di restituire al Paese il peso anomalo di una cassa integrazione finanziata con i fondi dedicati allo sviluppo del territorio. E poi il suo programma di montare a Mirafiori dei Suv con parti costruite a Detroit, non è certo molto esaltante: vuol dire investire per montare un tipo di macchina ingombrante ed invisa a molt,i che è il simbolo di uno sviluppo non sostenibile per impatto ambientale e consumo di energie non rinnovabili, sanzionata in vario modo nei protocolli ambientali di vari governi europei. In un momento, poi, in cui varie case automobilistiche, dalla Ford alla Toyota alle colleghe francesi e tedesche si stanno tutte rivolgendo a macchine ibride ed elettriche con particolare attenzioni all’aspetto ecologico, sembra che la Fiat punti su tecnologie già desuete che investono su metano e gas liquido.

 

Speriamo che i nostri governanti si rendano conto che il cordone ombelicale con la Fiat è stato davvero tagliato e di conseguenza riservi d’ora in poi la fetta più robusta dei finanziamenti alla ricerca industriale ed all’innovazione anche ad altri imprenditori, invece di destinarli, come ha fatto in passato a impianti cosiddetti innovativi, solo perché costruiti in quel preciso momento, ma senza prospettive veramente innovative per il futuro.

 

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