Il castello di Rivoli

Collezione permanente d’ arte contemporanea nello splendido scenario del 1718 progettato da Filippo Juvarra e restaurato da Andrea Bruno nel 1978. Il museo del Castello di Rivoli ha la missione di promuovere la comprensione dell’arte della nostra epoca
Castello di Rivoli

Il Castello di Rivoli è stato una residenza sabauda, nel comune di Rivoli, in provincia di Torino ed è la sede del Museo d'Arte Contemporanea. L’ affascinante restauro del 1978, evocativo del “non finito” dell’ architetto Andrea Bruno sulla reggia di Vittorio Amedeo di Savoia, progettata da Filippo Juvarra nel 1718, è il contesto poetico che ospita la collezione permanente del Museo d’ Arte Contemporanea del Castello di Rivoli. Grandi finestre luminose fissano il momento in cui si arresta l’intervento juvarriano, evitando qualsiasi completamento o rifacimento “in stile”, ponendo in dialogo strutture tardo-barocche e minimaliste essenzialità proprie di Bruno con evocazioni della Land Art, dell’ Arte Povera, dell’ Arte  concettuale. Il museo del Castello di Rivoli ha la missione di promuovere la comprensione dell’arte della nostra epoca, favorendo la crescita sociale e civile del territorio nel quale opera in un dialogo di portata internazionale con le altre nazioni.    

L’ allestimento segue un criterio di suddivisioni monografiche dedicate al lavoro di un singolo autore o  movimento.  La prima sala si apre alla lettura di Richard Long e della sua potente esegesi della Land Art anche in spazi museali ristretti. Romulus Circle, cerchio di pietre di roccia magmatica, cerchio di tufo, pietra antica, atemporale, archetipica delle origini, allude a un rapporto atavico con la natura persino in una istallazione museale, circoscritta tra Bruno e Juvarra.                                                                                                                                                                              

Nella contaminazione di arte, letteratura, filosofia, di autori come Fabio Mauri o Marzia Migliora, domina indiscussa la figura di Pier Paolo Pasolini, poetica degli “ultimi”, delle periferie, del semplicemente autentico.                               

Mauri sceglie un oggetto povero, pensato per essere calpestato, per accogliere polvere, sporcizia, un semplice zerbino, per affidare riflessioni sulla vita, l’arte, i rapporti umani in dialogo antitetico di infinita distanza di stile con lo splendore del soffitto e il tardo barocco di Juvarra tra spaesamento e vertigine.                                                                                            

Migliora rende omaggio a Pasolini con le ultime parole dell’intervista del novembre ’75, poche ore prima di morire, assassinato ad Ostia: «Forse sono io che mi sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo».  Le lettere a specchio, allestite in una sala ad U di abbagliante candore rimandano dal muro, molteplici frammenti della nostra immagine, della nostra ontologica fragilità, della nostra vulnerabilità potenziale.                                                                                                                                                                                               

Sol Le Witt sospende le emozioni nella ricerca di un’ arte concettuale di puro pensiero e geometriche contemplazioni con Wall Drawing, intervento pittorico a monocromi sulle pareti della sala, con al centro un solido geometrico eptagonale.        

                                                                                                                                                                                                                                         Michelangelo Pistoletto inaugura con “La Venere degli stracci” del 1967 un’epoca nuova, una riflessione su classicità e arte povera, categorie spazio-temporali e vissuti emotivi, quasi a voler purificare  da connotazioni negative l’ elemento umile, farlo proprio di ogni stato sociale, colmare le distanze, in opposizione al consumismo dell’ effimero. Pistoletto con l’acquisto di un calco di una libera riproduzione della Venere neoclassica del Thorvaldsen ripropone il concetto del ready-made e dell’Arte Concettuale, del  fare arte solo con le idee, senza una tecnica che modelli la materia. “La Venere degli stracci”, vittoriosa, appena scelta da Paride come bella tra dee, sta andando a nascondersi in un cumulo di cenci umili, buttati alla rinfusa. Mauro Covachic osserva come «Pistoletto con ironia e irriverenza spinga l’ideale del bello ad annusare la vita». I cenci portano impressi i corpi di chi li indossa restituendo loro dignità e humanitas.                                                                                                                                                                                                                    

Con “Persone Nere” del 1984, la definizione dell’informale che nasce in Italia con la “Pietà Rondanini” di Michelangelo, prende corpo e intensità nell’ opera di Pistoletto che allude alla statuaria classica.

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