Il caro prezzo che paga la Liguria

Mentre si contano i danni causati da piogge, frane ed esondazioni, monta la polemica per lo stato di incuria del territorio. Si parla ormai di disastro idrogeologico alimentato da abbandono ed eccessiva cementificazione
Liguria colpita dal maltempo

Mentre la pioggia continua a cadere sul terreno ligure, mentre franano colline ed esondano torrenti e fiumi da levante a ponente, monta anche la polemica. Si cercano i colpevoli. Si parla ormai di disastro idrogeologico esteso a tutta la regione. Bastano pochi giorni di pioggia per essere in emergenza.

Secondo i geologi si è «perso troppo tempo» e la Liguria è ai primi posti tra le regioni a rischio. Colpevole l'abbandono del territorio, con terreni agricoli un tempo coltivati oppure terreni eccessivamente cementificati. È una situazione complessa. E se da un lato la Protezione civile sta operando bene in fatto di prevenzione, sono carenti progetti di difesa del suolo.

Le amministrazioni comunali rischiano di trovarsi in mezzo a un vespaio di polemiche per licenze edilizie rilasciate troppo facilmente, così come la Regione, che non ha attuato l’assessorato predisposto, benché già redatto il regolamento riguardante la materia idrogeologica. Occorrono finanziamenti per attuarlo, dicono nelle sedi competenti; gli fa eco il ministero dell'Ambiente che assicura che i fondi possono arrivare a patto che ci siano progetti concreti. 

Il presidente dei geologi della Liguria, Carlo Malgarotto, sulle pagine regionali di un quotidiano nazionale ha richiamato l’attenzione al problema: bisogna essere in grado di intervenire «casa per casa» nei momenti di pericolo incombente. «Perché basta un pluviale di una casa che non viene messo a regime e lasciato nel terreno perché, prima o poi, possa arrivare una frana. Anzi, il 50 per cento delle frane ha origini di questo tipo. Poi ci sono le frane a "colata rapida", molto pericolose, con percentuali di acqua di gran lunga superiori alle altre, basta pensare a Vernazza; sono molto veloci, così alla fine dove c'era una strada vedi solo detriti». «Genova – continua  Malgarotto – sappiamo che è una città a rischio. Ora dobbiamo attrezzarci, si deve ridare ai fiumi il loro spazio, non si può continuare a costruire argini che costano e ostruiscono. Almeno in ambiente agricolo si deve delocalizzare, la funzione ingegneristica dell'emergenza suolo non funziona più».

Già, la regione Liguria, come tante altre del resto, paga la scarsa attenzione, l’incuria decennale. Pietro è un abitante di Carasco in Val Fontanabuona, ombrello aperto, stivali e una vecchia giaccaccia a vento. È appoggiato al parapetto di un ponte, guarda l’acqua “rotolare” impetuosa, sotto i piedi. «Ho lavorato fin che ho potuto a pulire i boschi, a raccogliere i rami, ad arginare corsi d’acqua che scendevano a valle. Un tempo il bosco era pulito da rami ed erbacce: ora nessuno più fa questo lavoro. Bastano pochi rami, se poi hanno pure le foglie, per fare diga tra un albero e l’altro, o nei corsi d’acqua, e far succedere esondazioni, smottamenti, frane». Già, i disastri idrogeologici un tempo si prevenivano così. Ora aspettiamo le cartine, le mappe del rischio e intanto assistiamo impotenti allo sgretolamento del terreno.

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