I soldi non sempre fanno goal

Due magnati arabi presidenti di due famosi club calcistici europei: il City e il Paris Saint-Germain. Nonostante le stelle ingaggiate, risultati deludenti
Maglia del Paris Saint-Germain

Si chiamano Khaldoon Al Mubarak e Tamim Al Thani. Il primo è un componente del Consiglio Direttivo per l’emirato di Abu Dhabi, il secondo è l’erede al trono del Qatar. Seppur di nazionalità differenti, i due hanno diverse cose in comune. Le più importanti? I soldi, ovviamente, e la passione per il calcio. E, si sa, se un multimiliardario ama lo sport, cerca in qualche modo di farne parte. Soprattutto di questi tempi, e specialmente se l’imprenditore in questione è arabo. Semplice, per loro, aprire il portafogli, sfogliare la margherita dei club disponibili, tirare fuori qualche “spicciolo” ed entrare nel mondo del calcio dalla porta principale.

 

Nel nostro caso, i petroldollari hanno raggiunto Manchester e Parigi. Al Mubarak, infatti, è il presidente del City, mentre Al Thani è a capo del Paris Saint-Germain. Il primo dal 2008, il secondo da quest’anno. Ovviamente, gli scenari e le prospettive dei due club sono totalmente cambiati.

 

Il City è la seconda squadra di Manchester. Per titoli e prestigio, infatti, lo United ha quasi sempre oscurato i citizens. Un club famoso più perché fra i suoi tifosi può vantare Liam e Noel Gallagher, i due fratelli leader degli Oasis, che per ragioni prettamente sportive. Quanti derby persi, quante umiliazioni subite da parte degli “amatissimi” Red Devils, quante delusioni. Poi, l’avvento dei petrodollari e, con essi, di alcuni fra i più grandi giocatori in circolazione. Qualche nome? Robinho, Tévez, Adebayor, i fratelli Touré, Silva, Balotelli, Dzeko e, poco più di una settimana fa, Agüero. In panchina, poi è arrivato Roberto Mancini.

 

Stesso discorso per il Paris Saint-Germain, uno dei più titolati club francesi che però non vince il campionato da ben diciotto anni. Qui, l’avvento degli emiri è molto più recente (luglio 2011), ma la sostanza non cambia. Anche gli imprenditori qatariani, infatti, ha iniziato a lavorare come i colleghi di Abu Dhabi: aprire il portafogli e attrarre i giocatori a suon di petrodollari. Per informazioni, chiedere a Javier Pastore, Jérémy Menez, Salvatore Sirigu e Mohamed Sissoko. O, se si vuole, a Leonardo, che in estate ha abbondonato la panchina dell’Inter per accomodarsi dietro la scrivania parigina, ingaggiato dagli emiri per ricoprire il ruolo di direttore sportivo.

 

Ma, nonostante tutto, la palla continua a restare rotonda. Perché se è vero che il City è finalmente riuscito a entrare a far parte dell’élite del calcio inglese, è altrettanto vero che di trofei, dal 2008 a oggi, ne è arrivato uno solo (la FA Cup 2011): poca roba, se si tiene conto degli investimenti fatti. E la stagione, per gli inglesi come per i francesi, non è iniziata nel migliore dei modi. Ieri, infatti, il City si è dovuto inchinare per l’ennesima volta allo United, che in rimonta (da 0-2 a 3-2) si è aggiudicato il derby valido per il Community Shield (la supercoppa inglese). La sera prima, era andata male anche al Paris Saint-Germain: sconfitta interna (0-1), nel primo turno di campionato, contro il modesto Lorient. Morale della favola? I soldi non fanno la felicità. E nemmeno i risultati. Almeno finora.

 

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons