I religiosi a scuola di economia civile

I rappresentanti delle congregazioni in dialogo con Luigino Bruni per capire come conciliare la scelta della povertà con la necessità di gestire le proprie risorse, farle fruttare economicamente e mantenere in vita opere a servizio dei bisogni dell'uomo
Religiose

Venerdì 20 settembre, dalle 9 alle 13 presso il Polo Lionello Bonfanti si è svolta la giornata conclusiva della Summer School per superiori/e e consigli generali e provinciali di comunità religiose. Titolo del convegno: “Governare i carismi oggi: metodologie, visioni  e strumenti per la gestione delle persone, delle comunità e delle opere”. È intervenuto con un suo contributo il prof. Luigino Bruni, cui sono seguiti un dialogo e le conclusioni. Alla coordinatrice del convegno, suor Alessandra Smerilli delle Figlie di Maria Ausiliatrice, abbiamo rivolto alcune domande.

La povertà è uno dei pilastri su cui sono state fondate le varie congregazioni religiose. E qui vi siete trovate a parlare di economia, di profitti, di gestione, di innovazione. Cosa puoi dirmi in proposito?
«Qui abbiamo a che fare con opere nate da vari carismi per servire bisogni vecchi e nuovi dell’umanità. Perché queste opere possano rimanere nel tempo, occorre una forte idealità, occorrono persone capaci di portarle avanti, ma c’è bisogno anche di risorse economiche. A volte nel nostro mondo religioso l’aver trascurato questo aspetto ha fatto sì che opere anche di rilievo si estinguessero. Siamo invece qui per dirci che è importante avere a cuore tutte le dimensioni, anche quella economica, curando la trasparenza, la gestione dei contratti con laici, fornitori, dipendenti ecc., in modo da generare degli utili. Utili non per arricchire la congregazione, ma per sostenere quelle opere che di per sé saranno sempre in perdita perché sorte nei posti più poveri, dove la gente non ha la possibilità di pagare. Curare bene l’aspetto economico permette inoltre una comunione dei beni anche tra le opere e fa sì che esse possano resistere nel tempo».

Di recente il papa ha invitato religiosi e suore  a non trasformare le loro case vuote in alberghi a cinque stelle, ma ad aprirle a chi ha più bisogno…
Questa cosa è giustissima! Noi qui in due giorni abbiamo lavorato anche su un caso concreto di una ipotetica congregazione: abbiamo chiesto ai partecipanti al corso di provare a riorganizzare questo istituto che ha diverse opere, tra cui ostelli, alberghi e strutture per i più poveri. Cosa è emerso da questo studio? Innanzitutto che la luce del proprio carisma ti fa capire quali opere sono importanti e quali possono essere lasciate. E poi, sempre in merito al discorso di prima, abbiamo convenuto che per poter aprire le porte a chi è in necessità bisogna avere opere gestite in modo da produrre delle entrate. Questo non vuol dire metter su degli alberghi a cinque stelle o dei residence per ricchi: anche nel cercare di mettere a reddito alcune opere possono individuarsi criteri di una economia equa, solidale e fraterna che permettano di sovvenire sempre meglio ai bisogni dei più poveri».

Interessante… e il risultato del vostro lavoro?
«In maniera molto sorprendente, in quanto sono state impiegate in totale solo due ore, i gruppi di lavoro sono riusciti a individuare dei processi di coinvolgimento nei vari istituti per arrivare ad essere tutti consapevoli delle decisioni da prendere. Penso che questo sia un bel segno, perché quando le decisioni arrivano dall’alto difficilmente generano futuro e cambiamento; quando invece nascono dal vedere insieme, ciascuno alla luce del proprio carisma, le urgenze e le cose veramente importanti, si è più capaci di mettere in atto i processi di cambiamento di cui c’è bisogno».

Quindi, partecipazione, responsabilità diffusa, creatività anche tra le religiose?
«Sì. Tanta creatività è nata dai lavori di questi giorni, dall’esserci messe in ascolto vicendevole».

Cosa vi portate a casa dopo questo convegno?
«Ieri abbiamo fatto un'attività di cucina creativa a gruppi. Un’esperienza interessantissima, durante la quale si prendevano appunti su alcuni punti ritenuti  importanti per giungere insieme a dei risultati. E un po’ a sorpresa la parola emersa indipendentemente da tutti i gruppi è stata “bellezza”, corredata da altre due parole: “comunione” e “gratuità”».

L’indicazione quasi di un metodo…
«Esatto! Un metodo basato su questi pilastri, che permetta di guardare in un certo modo alle problematiche che abbiamo davanti e di gestire al meglio certi processi, è garanzia per arrivare a dei risultati concreti».

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