I poveri, la vera contabilità dell’EdC

Gli utili donati aumentano anche nei due anni di crisi. Ma il vero bilacio dell'Economia di Comunione sta nella riduzione del numero degli indigenti.
contabilità

Un paradigma economico che vive non per solidarietà, ma perché portato avanti da imprenditori creativi: è questa la principale linea di sviluppo dell’Economia di Comunione indicata da Luigino Bruni, in apertura della tavola rotonda su innovazione e creatività a Loppiano Lab. La strada percorsa nei primi vent’anni dall’intuizione di Chiara Lubich è notevole: una media di 25 nuove imprese ogni anno, 1 milione e 700 mila euro di utili donati nell’ultimo periodo di crisi, serviti per finanziare1059 borse di studio e 40 progetti di sviluppo in tutto il mondo. Ma sopratutto, ha sottolineato Bruni, dei 7000 poveri a cui questo paradigma economico era inizialmente rivolto, ne sono rimasti solo 1500. «Ed è questa la vera contabilità dell’EdC – ha proseguito l’economista – perché se la ricchezza prodotta non arriva ai poveri, il progetto non serve a niente». Un progetto che non può vivere chiuso in sé stesso, ma deve aprirsi all’esterno: «Un proverbio africano dice che per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio. Allo stesso modo, per far crescere un polo dell’EdC ci vuole il resto del mondo». Aziende inserite a pieno titolo nel mercato, non enti di beneficenza: «A Recife, dove è partito un progetto per insegnare ai ragazzi di strada a fare borse di moda, loro hanno messo subito in chiaro che volevano che la gente le acquistasse non per fare un’opera di bene, ma per la loro bellezza».

 

Alla luce di queste premesse, Bruni ha individuato quattro sfide per lo sviluppo dell’EdC. La prima è quella di essere fedeli alla dimensione di rete aprendosi al resto del mondo; la seconda sta nel leggere la povertà anche nelle sue dimensioni sociali e relazionali, non solo economiche; la terza si concretizza nel saper riflettere non solo sull’impresa singola, ma anche sul modello di mondo e di capitalismo nel quale l’EdC si inserisce e al quale contribuisce; e l’ultima e più importante sta appunto nel rilanciare la creatività, «carattere distintivo dei carismi lungo tutta la storia, da Benedetto da Norcia a don Bosco. E un carisma vive quando innova, spostando più avanti i paletti dell’umano».

 

Come concretizzare questa creatività? Hanno cercato di rispondere la psicologa Assunta Dierna, consulente di psicoeconomia aziendale, il prof. Maurizio Mancuso, docente di sociologia alla Cattolica di Milano, e il prof. Niccolò Bellanca, docente di economia dello sviluppo all’Università di Firenze. La prima ha sottolineato le ricadute all’interno dell’azienda del fattore relazionale, che, «pur essendo come un respiro che si espande a tutti i settori, riceve attenzione solo nella misura in cui dà problemi, invece di essere visto come chiave per ottimizzare lo sviluppo della società». Il prof. Mancuso, nell’analizzare il concetto di creatività, ne ha individuato il principio fondante nel fatto che «se è intuitivo che l’economia risponda ai bisogni dell’uomo, è altrettanto vero che questo è mosso spesso dalla curiosità, e sa mettere tra parentesi i propri bisogni immediati a questo scopo». Infine il prof. Bellanca, dopo aver dato un’interpretazione “laica” dell’EdC come paradigma che «supera la concezione “residuale” insita in termini come “terzo settore” o “no profit”, proponendo un settore “for benefit” caratterizzato dall’uso non privatistico degli utili», ha proposto alcuni suggerimenti pratici per il suo sviluppo: tra questi, la creazione di una banca di credito cooperativo per le aziende EdC, e il consolidamento di una filiera produttiva che le accomuni grazie ad una “cabina di regia”, puntando su una sinergia non tanto tra imprese simili quanto su «un progetto comune che costruisce identità».

 

A concludere la tavola rotonda è stata la presentazione della figura di François Neveux, uno degli imprenditori apripista dell’EdC, attivo sopratutto in Brasile.

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