I Marò a casa in attesa di decisioni dall’Aja

Dopo quattro anni il caso dei due fucilieri sembra aver perso interesse anche in India che ha voluto utilizzare l'incidente per mostrare la sua forza diplomatica e la sua irriducibilità a livello internazionale. Intanto i due militari rimangono in Italia
massimiliano latorre e salvatore girone marò in india

Nei giorni scorsi la Corte Suprema dell’India ha deciso che il fuciliere Massimiliano Latorre potrà restare in Italia fino al termine dell'arbitrato internazionale in corso all'Aja. Per Latorre verranno applicate le stesse condizioni che sono state disposte anche per l’altro fuciliere, Salvatore Girone, che già da tempo è tornato nel nostro Paese dopo che era stato colpito da un ictus nel dicembre del 2014. La decisione della Corte viene dopo un tira e molla lungo quattro anni fra le autorità italiane (Ambasciata a New Delhi e Ministero degli Esteri) e quelle indiane, prima dello Stato del Kerala e, successivamente, del governo centrale indiano. La sentenza è arrivata ad alcuni giorni dalla scadenza del permesso di "permanenza" in Italia per Latorre, prevista per il 30 settembre.

 

Come si ricorderà, i due fucilieri erano stati accusati di aver aperto il fuoco su un peschereccio indiano, uccidendo due pescatori dello Stato del Kerala. Da allora si è aperto un estenuante contenzioso che è andato avanti per anni, con i nostri marò che, dopo settimane di detenzione in carcere in Kerala, hanno trascorso due anni presso l’Ambasciata d’Italia a New Delhi alternati a periodi più o meno brevi di cosiddetta "licenza" in famiglia. Nel frattempo, i rapporti fra i due Paesi hanno conosciuto tensioni mai viste in precedenza con il pericolo di rottura o deterioramento dei rapporti diplomatici.

 

L’India, che aveva sempre avallato il diritto a processare i due accusati, aveva, infine, deciso di accettare l’arbitrato dell’International Tribunal for the Law of the Sea (il Tribunale Internazionale per la legge del Mare) – Itlos. Il governo italiano, da parte sua, non aveva mai receduto dalla propria posizione: una istruttoria e un eventuale procedimento processuale in Italia con permanenza dei due marines in Italia in attesa della sentenza. La sentenza della Corte Suprema, arrivata al termine di una interminabile attesa fatta di continui rinvii ha ovviamente suscitato soddisfazione presso gli organi della Farnesina, che l’ha definita un «passaggio importante che riconosce l'impegno intrapreso dal governo italiano con il ricorso all'arbitrato internazionale per fare valere le ragioni dei nostri due Fucilieri di Marina. Con identico impegno – promette il ministero degli Esteri – l'Italia affronterà i prossimi passaggi del procedimento arbitrale, che entra ora nel merito del caso della Enrica Lexie».

 

In merito al caso, il rappresentante legale del governo del Kerala ha espresso le sue obiezioni sulla decisione della Corte Suprema di Delhi. Se da un lato, infatti, la sentenza prevede che i due fucilieri si presentino a un ufficio di polizia a Roma ogni primo mercoledì del mese e che ogni tre mesi si sottoponga al governo indiano una relazione sugli sviluppi dell’arbitrato, dall’altro, c’è il timore che il contenzioso vada avanti ancora per vario tempo e, con tutta probabilità, fino al 2018 con conseguente perdita di interesse sia del caso che dei testimoni.

 

Difficile dire cosa abbia prodotto questa novità nella linea fin qui adottata dalle autorità indiane. Senza dubbio, dopo quasi cinque anni – l’incidente avvenne nel febbraio del 2012 – la questione ha perso interesse e anche l’uso politico fattone dalle autorità indiane in occasione delle elezioni locali in Kerala e da quelle politiche a livello nazionale ha ormai fatto il suo corso. Inoltre, il governo indiano ha sfruttato adeguatamente il caso dei nostri fucilieri per dimostrare una certa forza diplomatica a livello internazionale. Una ulteriore ragione potrebbe essere ricercata nel fatto che attualmente il governo indiano, a livello di politica internazionale, è focalizzato ancora una volta sull’annosa questione Kashmir con risvolti di tensione con il Pakistan.

 

Nella tipicità della politica indiana che, di tempo in tempo, concentra la sua attenzione e quella dell’opinione pubblica del Paese su questioni specifiche che servano da coagulante per una sensibilizzazione di carattere nazionalista, è ovvio che il caso Marò ha perso il mordente che aveva avuto per vario tempo a fronte di una politica scriteriata (incapacità di gestire a livello internazionale una situazione delicata tenendo conto della sensibilità culturale dell’interlocutore) da parte italiana che, fra l’altro, ha visto ben tre ministri degli Esteri succedersi alla Farnesina in questi quattro anni.

 

Infine, è necessario tener conto del fatto che il governo indiano, che da sempre si era arrogato il diritto di dirimere sul caso, ha, alla fine e suo malgrado, dovuto accettare che la questione fosse riferita al Tribunale dell’Arbitrato internazionale dell’Aja, che prevede che le parti debbano accettare in ogni modo la decisione finale. Conviene, dunque, avere una posizione più possibilista sul caso o, almeno, mostrare un atteggiamento comprensivo riguardo agli accusati.

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