I Discorsi alla nazione di Ascanio Celestini

Un mondo popolato da figure curiose, bizzarre e sfacciatamente reali. I soliloqui sviluppano i temi dell’ingiustizia sociale e del rapporto di forza tra potenti e umili
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Niente di fichtiano in questo lavoro di Ascanio Celestini: l’autore, drammaturgo, attore e regista ripercorre in chiave originale i temi cari alle sue riflessioni politiche e teatrali. Il testo in funzione della scena e la scena costruita intorno al testo sembrano essere le cifre stilistiche dei discorsi di Celestini, il quale costruisce sotto gli occhi degli spettatori un mondo popolato da figure curiose, bizzarre e sfacciatamente reali.

In un paese qualunque, sotto l’incessante scrosciare di una pioggia torrenziale, nel bel mezzo di una guerra civile, gli inquilini di un condominio si raccontano in brevi monologhi, riflettendo su sé stessi e sul mondo. I soliloqui sviluppano i temi dell’ingiustizia sociale, del rapporto di forza tra i potenti e gli umili, per dirla alla Celestini, «tra gli uomini con l’ombrello e gli uomini senza ombrello», metafora cristallina di una società diseguale. L’umanità descritta dall’autore è dicotomica e il confine che si va costruendo è invalicabile. La comunità è sgretolata e frammentata in singole unità: l’individuo, numero primo e indivisibile, solo, sotto la debole luce che fiaccamente illumina il volto dell’attore. L’unica speranza condivisa è l’attesa di un dittatore che metta fine alla guerra civile e sotterri per sempre l’idea, o meglio l’utopia democratica.

Il tema è quanto mai attuale e l’autore lo declina in immagini convincenti ed efficaci, anche se talvolta vagamente retoriche. L’abilità di Celestini attore è tutta nel gestire gli spazi della drammaturgia, costruendo attorno ai personaggi che di volta in volta interpreta, atmosfere intime e raccolte, che hanno la potenza di uno zoom cinematografico. I suoni e tutto l’impianto scenografico sono strumenti nelle mani dell’attore, leggeri e mobilissimi, tanto da essere manovrati a vista senza interferire minimamente con la fruizione dello spettacolo.

I due monologhi posti all’inizio e alla fine del nucleo spettacolare vero e proprio, in cui l’attore è semplicemente sé stesso e si rivolge direttamente al suo pubblico, sono costruiti sui meccanismi dissacranti dell’ironia: al motto «io sono di sinistra, ma…» l’attore stila una lista nera dei luoghi comuni più sdoganati, guidando il pubblico verso un’analisi divertente e spietata delle contraddizioni dei nostri giorni.

 

Al  Teatro Vittoria – Roma

Fino al 20 ottobre

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