I cristiani devono far qualcosa

Intervista all'arcivescovo di Tunisi Maroun Elias Nimeh Lahham, arrivato ieri sera sull'isola. «In Tunisia l'economia è ferma e la gente disperata»
Arcivescovo di Tunisi

Aveva programmato il suo viaggio in tempi tranquilli, l’arcivescovo di Tunisi, Maroun Elias Nimeh Lahham, arrivato a Lampedusa ieri per celebrare con la popolazione la festa della Madonna di Portosalvo. Invece è stato accolto dalla rivolta e dagli scontri tra tunisini e lampedusani con feriti e disordini gravi. Ha dichiarato agli organi di stampa la sua tristezza per l’accaduto e ha cercato di giustificare anche la reazione degli isolani «stanchi» e dei suoi connazionali «disperati». Stanotte intanto ben 700 immigrati hanno lasciato l’isola grazie a un ponte aereo costante e la situazione sembra essersi tranquillizzata. Abbiamo intervistato mons. Lahham mentre si prepara a celebrare la messa dei festeggiamenti.

 

Eccellenza che significato attribuire alla sua presenza dopo gli scontri di ieri?

«Il momento più duro mi sembra sia passato e ora è il tempo della riconciliazione e di una riflessione profonda sul fenomeno dell’immigrazione, che non si deve essere considerato come costante emergenza ma come un fenomeno con cui dobbiamo imparare a convivere. Quando la gente è disperata si arriva a fare di tutto, anche sciocchezze. Il mio messaggio ai lampedusani sarà di pacificazione e di riconciliazione ma voglio invitare tutti ad una riflessione seria sui comportamenti che si intendono intraprendere nel futuro, bisogna capire e poi agire».

 

Cosa direbbe agli italiani in questo momento di difficili rapporti con i tunisini?

«Continuate ad essere italiani: aperti, buoni, contro la guerra e la violenza. Perché l’Italia continua ad essere stimata, nonostante tutto e il popolo italiano è un popolo pacifico e accogliente continuate a vivere secondo questi valori. L’Italia è un paese bello e non è fatto per la violenza, è accogliente e ancora cristiano».

 

I suoi connazionali sono consapevoli che verranno rimpatriati eppure continuano a tornare…

«Finché l’economia in Tunisia non riparte e il turismo non ritornerà ai livelli precedenti la caduta del governo continueranno ad esserci centinaia di migliaia di disoccupati che sogneranno questo paradiso, anche se di fatto il paradiso non c’è e non è realizzabile, ma 800mila persone senza lavoro non sentono giustificazioni. Bisogna aiutare l’economia tunisina a ripartire».

 

Che succede quando ritornano a Tunisi e atterrano all’aeroporto? Ci sono conseguenze giudiziarie sulla fuga?

«No. Semplicemente tornano a casa delusi e ripensano a come ripartire»

 

Com’è in questo momento la situazione del Paese?

«Il Governo non c’è e quello di transizione si sta preoccupando di garantire le elezioni libere del 23 ottobre prossimo.  Spetterà al nuovo direttivo prendere in mano l’economia e fare le necessarie riforme, ma al momento siamo in una stasi»

 

La Chiesa può intervenire in qualche modo?

«La chiesa come istituzione no perché non fa parte del tessuto sociale del Paese ma quelli che possono fare molto sono i cristiani. Nel nostro Paese ci sono più di tremila imprese europee che lavorano in Tunisia e garantiscono occupazione a 350 mila persone. Sono battezzati e cristiani e sono loro che possono aiutare effettivamente ed intervenire nella società civile»

 

I cristiani corrono dei rischi?

«I cristiani in Tunisia non hanno mai avuto problemi e poi è una chiesa straniera con una percentuale bassissima di presenze e quindi è una minoranza. La libertà religiosa nel nostro Paese è garantita e l’islam tunisino non è mai stato un islam fanatico. La chiesa è rispettata, ben accetta, sia per le istituzioni che per le scuole che anzi sono molto ricercate e stimate. Non dovete aver preoccupazioni per la chiesa in Tunisia, in altri paesi sì»

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