I Brics in soccorso dell’Europa

Paesi emergenti come Russia, Brasile e Cina interessati al debito del Vecchio continente. Conviene a tutti che l’euro non soccomba. Il parere dell’economista Pelligra
Summit dei Brics

Agenzie e giornali riportano i contatti ufficiali tra Cina e Tesoro italiano per valutare l’acquisto di titoli o interventi di partecipazione diretta nel settore industriale. Dall’altra parte c’è la dichiarazione del ministro tesoro brasiliano che a pochi giorni dall’apertura dell’incontro del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha creato fibrillazione nei mercati: i cosiddetti BRICS cioè Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica stanno valutando la possibilità di acquistare titoli europei. Il direttore dell’Fmi, Christine Lagarde, ha ventilato due prospettive: acquistare titoli sicuri come quelli di Germania e Gran Bretagna oppure acquistare quelli dei paesi in difficoltà come Spagna, Grecia e Italia e quest’ultima è naturalmente l’opzione auspicabile. L’impatto a seconda della scelta effettuata dai Paesi emergenti sarebbe ben diverso naturalmente, ma la notizia che mette in allerta soprattuto perchè una fetta importante del Primo mondo potrebbe essere salvata da quello che fino a qualche anno fa veniva considerato Terzo mondo. Abbiamo chiesto il parere di Vittorio Pelligra, docente di Economia politica a Cagliari.

 

Davvero l’ultima spiaggia di salvezza per l’Europa sono i BRICS?

Direi che è nell’interesse di questi paesi che l’Europa non crolli perché, con il livello di interconnessione che abbiamo oggi, la reciproca dipendenza porterebbe conseguenze negative per tutti, anche i paesi emergenti. Gran parte dei capitali, poi, sono ancora in Europa e se i BRICS vogliono continuare a crescere il trasferimento di questi capitali deve continuare ad avvenire. Le economie mature quindi devono continuare a resistere, perché se è vero che nei BRICS il rendimento dei capitali è molto alto, è anche vero che questi arrivano dall’Europa e dagli USA principalmente.

 

Come leggere l’interesse della Cina anche verso l’Italia…

L’obiettivo degli investitori cinesi è stato tradizionalmente quello di acquistare titoli di stato americani, ma dopo che le agenzie di rating li hanno declassati, quest’investimento è diventato ora meno appetibile. La Cina ha una enorme quantità di denaro da investire e sta cercando occasioni per diversificare rispetto agli obiettivi tradizionali. Per questo sceglie sempre più spesso operazioni di salvataggio, non solo per ritorni economici forti, ma anche per mantenere in  equilibrio il sistema finanziario globale. L’instabilità avrebbe un effetto dirompente per tutti.

 

Quando si potrà scrivere la parola fine a questo momento?

 Si può capire quando una crisi inizia e non quando finisce, anche perché le crisi sono cicliche e sono insite nel sistema stesso per cui non ci sarà mai una situazione in cui diremo: ora stiamo tranquilli. In ogni sistema economico ci sono cicli espansivi e recessivi e queste sono ondate che non si fermano. Noi stiamo attraversando una recessione, a cui rischia di seguire un’ulteriore recessione, proprio perché il nostro sistema sta vivendo una transizione epocale dalla prevalenza del settore manifatturiero a quello dei servizi. Il passaggio richiede tempo e non mancano le criticità soprattutto in termini di disoccupazione.

 

Perché le econome emergenti crescono e le vecchie economie sono impantanate?

Una caso emblematico è quello dell’India. Il tasso di crescita del Pil è elevatissimo, ma il reddito pro-capite è bassissimo, un decimo di quello italiano e la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza è enorme: potremmo dire di trovarci con isole di ricchezza in un mare di povertà. , che è ingente ma il reddito pro capite medio è un decimo di quello italiano. Ci sono isole di ricchezza in un mare di povertà. Queste economie hanno intrapreso un percorso virtuoso di crescita sostenuto dall’afflusso di capitali esteri ma anche da riforme interne fondamentali. L’India poi, in particolare, ha investito in formazione e istruzione superiore di natura altamente specialistica. Tant’è che da qualche anno esporta programmatori, matematici e informatici perfino negli Stati Uniti. Tante sono state le borse di studio per incentivare i giovani a scegliere università tecniche. Investire su formazione scientifica e tecnica ha funzionato come volano della crescita che ha fatto nascere un numero enorme di aziende hi-tech e di joint-venture con imprese americane. Questo passaggio dal manifatturiero ai servizi, di cui parlavo prima, sembra qui essere in una fase decisamente più avanzata, grazie anche ad una lungimirante politica culturale ed educativa.

 

Ci sono anche gli innegabili i vantaggi legati al bassissimo costo del lavoro…

E’ vero, ma voglio puntualizzare la scelta di investire piuttosto che in un settore vecchio e agonizzante, in uno del futuro e cioè informatica e tecnologia digitale. Il costo del lavoro basso offre un vantaggio competitivo fortissimo insieme ad una tutela minimale dei diritti dei lavoratori, ma questo fa parte della dinamica dello sviluppo e che i vari Paesi affrontano ciclicamente. Nell’era della rivoluzione inglese c’era grande innovazione e scarsa tutela. Lo stesso valeva per i paesi asiatici vent’anni fa. Ora, dopo la prima fase di “decollo” economico, la maggior parte di essi ha degli standard di protezione a livello europeo e americano. Nella prima fase della crescita c’è uno sviluppo impetuoso che crea sacche di grande ricchezza. Quando questa ricchezza si diffonde si crea la domanda per la tutela dei diritti.

 

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