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Mondo > Economia e democrazia in America /4

Grandi imprese, comunità e democrazia

di Giampietro Parolin

- Fonte: Città Nuova

Negli Usa si ripropone l’importanza della rigenerazione dei rapporti comunitari di fronte ad un modello che premia l’individualismo e il consumismo.

I manifestanti tengono cartelli durante una protesta alla Trump Tower di Chicago, Illinois, USA, 1 settembre 2025. Foto: EPA/PATRICK GORSKI via Ansa

«Via via che, anno dopo anno, la rete di relazioni che incide sulle esistenze degli uomini si allargava e si complicava, gli americani non sapevano più dare un significato di fondo a chi fossero o dove si trovassero. L’ambiente era cambiato oltre la loro capacità di comprenderlo e, in uno scenario a loro estraneo, si erano persi».

Sono molte le analogie fra il disorientamento dei cittadini americani contemporanei e quello dei loro predecessori di cent’anni fa descritto dalle parole dello storico Robert H. Wiebe.

All’inizio del ventesimo secolo le grandi imprese di produzione e di distribuzione dominano il paesaggio economico a stelle e strisce, con dimensioni che abbracciano l’intero stato federale. Lo spostamento di peso dalla dimensione locale a quella nazionale ha una valenza indubbiamente economica, ma porta con sé anche uno svuotamento delle comunità locali, della loro memoria, sia in senso sociale che politico.

Con la perdita del senso di appartenenza comunitaria si afferma in forma dominante il pensiero individualistico, di cui ogni cittadino sperimenta valore e libertà nell’opportunità di partecipazione politica quando si reca alle urne, ma anche impotenza e riduzione di potere di fronte agli interessi economici anonimi con le quali si misura da lavoratore e consumatore.

È l’esperienza della complessità, di un’interdipendenza che supera i confini della propria comunità ristretta, la sperimentazione che la cooperazione del sistema industriale, dei distretti economici, della produzione in catena non implica necessariamente la generazione di una comunità.

A questa erosione della comunità, alla crisi dell’autogoverno che ne consegue, la politica americana risponde con due approcci: uno di tipo economico – variamente articolato – ed uno tipo urbanistico.

L’approccio economico mira a contenere o a regolare le concentrazioni di potere delle grandi imprese di produzione e delle catene di distribuzione, con la grande battaglia fra la democrazia americana e i monopoli economici fino alle leggi antitrust, prima fra tutte lo Sherman Antitrust Act del 1890.

Il caso più famoso di queste norme è quello che porta allo smembramento, per opera della Corte Suprema nel 1911, della compagnia petrolifera Standard Oil di John D. Rockefeller – dando origine a 32 compagnie tra cui Esso, Mobil e Chevron -.

L’obiettivo iniziale di queste normative è di ripristinare un livello di concorrenza che protegga piccoli operatori e comunità locali dallo strapotere delle grandi compagnie; in realtà, come avviene nel caso del settore petrolifero, l’efficacia è limitata e le “sorelle” di Standard Oil trovano il modo per esercitare il loro potere tramite accordi e veri e propri cartelli.

Durante il ventesimo secolo nel movimento antitrust prevalgono gli interessi dei consumatori – e paiono affievolirsi le virtù civiche – fino ad emanciparsi almeno in parte dagli scopi originari, e diventa così principalmente uno strumento per garantire la competitività dei prezzi al consumo.

Come dichiara negli anni ’80 del secolo scorso il presidente Reagan: «L’unico obiettivo dell’antitrust è l’efficienza economica». Una filosofia accolta anche nella creazione dell’Unione europea.

L’impatto maggiore di queste normative funziona rispetto alla produzione, mentre i tentativi di regolare le concentrazioni nella distribuzione – è l’epoca in cui nascono le grandi catene di vendite a catalogo come Sears, Roebuck and Company, in Italia come Postalmarket – finiscono rapidamente nel dimenticatoio, per il grande successo di questi modelli presso i consumatori.

L’approccio urbanistico alla rigenerazione delle comunità locali esprime la tradizione repubblicana a stampo formativo, nella ricerca di soluzioni che accrescano le qualità morali della cittadinanza: con le parole dello storico Paul Boyer si tratta di «creare nella città il tipo di ambiente fisico che avrebbe plasmato con mitezza, ma con inesorabile magnetismo una popolazione di cittadini colti, moralmente e socialmente responsabili».

Mostrando molte affinità con quelli i contemporanei progetti di rigenerazione urbana, questo movimento si muove su due direzioni: da un lato punta alla riqualificazione dei così detti “tenement”, gli edifici fatiscenti e affollati, luoghi dove si annidano criminalità e corruzione; dall’altro lavora alla creazione di parchi municipali quali generatori di bellezza e possibili attivatori di spirito di prossimità fra i cittadini.

E nei parchi municipali un ruolo speciale viene riservato ai parchi giochi, concepiti come scuole di cittadinanza per le generazioni future: a New York, nel parco antistante il Municipio, viene installato un monumento alla Virtù Civica, a ricordo della preminenza del bene pubblico sugli interessi privati.

Nonostante questi tentativi, l’America, forse anche per gli effetti della Grande Depressione del ’29, si concentra sempre più sulla crescita economica e lascia sullo sfondo il tema della cittadinanza.

Allo stesso tempo, nel ventesimo secolo la bilancia fra comunità ed individuo negli Usa si sposta sempre più sul secondo, come ha ben raccontato il politologo statunitense Robert Putnam, e il tema della rigenerazione dei rapporti comunitari si ripropone, cent’anni dopo.

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