Grande mobilitazione o flop?

Guerra di cifre sul primo sciopero nazionale dell'era Zapatero. I tagli e crisi impongono una riflessione su condivisione e sobrietà.
Sciopero in Spagna

I titoli della stampa nazionale e internazionale hanno messo in evidenza gli scontri tra polizia e scioperanti e i feriti, nel primo sciopero nazionale dell’era Zapatero. Si sa, sono questi gli episodi che fanno notizia. Anche la Spagna è finita sotto i riflettori del mondo per questo mobilitazione generale. In vari ambiti questa protesta viene considerata una messa in scena, concertata tra governo e sindacati. Una riforma del mondo del lavoro che cancellerà di fatto traguardi raggiunti in molti anni, richiedeva necessariamente una mobilitazione, già preparata del resto fin da prima delle vacanze estive. Ma le vacanze sono sacre e tutto è stato rimandato.

 

C’era già stata una giornata di mobilitazione lo scorso 8 giugno quando furono annunciati tagli del 5 per cento agli stipendi dei funzionari pubblici. Quella sicuramente sarebbe stata la data adeguata per una protesta di massa: gli animi erano accesi per il colpo, ma purtroppo non accade alcunché. Voci interne al sindacato maggiormente rappresentativo degli operai, il CCOO attribuiscono il fallimento proprio a questa tempistica inopportuna. In certo senso molti si aspettavano l’insuccesso, che aleggiava come ombra cupa anche quando si sono messe in atto le strategie per coinvolgere più persone possibili.

 

La modesta partecipazione, a dire degli stessi organizzatori, ha fatto scatenare le polemiche del CCOO contro il maggiore sindacato spagnolo l’UGT(Unione Generale dei Lavoratori) accusato di essersi sottomesso ai disegni del governo socialista. Secondo l’UGT il 70per cento dei lavoratori ha partecipato allo sciopero, anche se non si è riusciti a paralizzare il paese, come si era programmato. Il settore che ha maggiormente aderito è stato quello dell’industria grazie ai “piquetes”, gruppi di controllo all’ingresso dei poli industriali e delle grandi città che dovevano in qualche modo bloccare gli accessi. Anche i trasporti hanno aderito in massa, pur garantendo le corse minime. Nei servizi e nel commercio invece si è registrata una certa normalità, come nella sanità e nella scuola.

 

C’è in atto una guerra di cifre tra organizzatori e governo e per questo bisogna far riferimento ad altri indicatori, come ad esempio il consumo di energia. Nello sciopero del 2002 il consumo energetico scese del 19per cento nelle prime 12 ore, mentre ora nell’intera giornata il calo si è attestato sul 16per cento. Il ministro del lavoro, Celestino Corbano, si è rifiutato di dare una cifra ufficiale, vista la disparità di adesioni allo sciopero, sia per settori lavorativi che per territori.

 

La considerazione finale, oltre i numeri, è che si fa fatica ad accettare sacrifici, qui come nel resto del mondo occidentale, che non riesce a guardare oltre le sue finestre, la povertà che lo circonda. Siamo arrivati fin qui e non possiamo tornare indietro, ci si dice. Ormai le abitudini consumiste sono diventate parte di noi e per cui è normale argomentare che per combattere la crisi bisogna riattivare i consumi. Si sente parlare, in modo allarmante del pericolo di perdere diritti conquistati con tanto sforzo lungo gli anni, e questo solo perche prima c’era più margine nel manovrare le condizioni di licenziamento, margine ora ridotto dalla riforma. Vogliamo chiedere provocatoriamente a un africano come stanno le cose dalle sue parti? Forse non c’è bisogno, basta chiedere ad uno degli immigrati che ci troviamo accanto. Di certo loro non avrebbero assecondato volentieri lo sciopero. 

 

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