Giustizia sociale, il motore dello sviluppo

Alla Farnesina, uno sguardo al presente e soprattutto al futuro dell’Africa.
L'Africa al centro

«È l’ineguaglianza il vero nodo della questione»: in questo Alex Vines, direttore del programma africano dell’istituto britannico Chatam House, ha individuato il centro della conferenza internazionale del 9 giugno alla Farnesina sul tema “Lo sviluppo dopo i conflitti in Africa”. L’occasione per il convegno, organizzato dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dal ministero degli Esteri, è stata la presentazione dei risultati preliminari del Rapporto sullo sviluppo mondiale 2011 della Banca mondiale, in pubblicazione a gennaio del prossimo anno dopo un anno di lavoro. «In questa ricerca – ha affermato una degli autori, Sarah Cliffe – abbiamo rovesciato l’approccio usuale, che prevede che si vada a verificare sul campo le proprie teorie soltanto dopo averle elaborate: abbiamo iniziato ponendoci delle domande, alle quali stiamo cercando una risposta coinvolgendo gli attori locali e i capi di Stato africani».

 

Il lavoro della Banca mondiale raccoglie l’eredità di un rapporto europeo sullo stesso tema: «Lo scorso autunno – ha precisato Giorgia Giovannetti, direttore scientifico della ricerca – ci siamo incontrati con la Banca per definire le questioni ancora da affrontare». I risultati confermano come i conflitti siano gli ostacoli principali allo sviluppo dell’Africa: «Fino agli anni Novanta – ha osservato la Cliffe – gli accordi di pace generalmente significavano davvero la fine degli scontri. Ora invece non è più così: dobbiamo lavorare sulla transizione dalla guerra alla pace, che richiede in media almeno trent’anni». Transizione in cui, essendo tutte le forme di violenza e di illegalità – dalle bande di ribelli, ai traffici transfrontalieri, alla corruzione – strettamente collegate, è necessario agire su più fronti: Debay Tadesse, ricercatore dell’Istituto per gli studi di sicurezza di Addis Abeba, ha sottolineato l’importanza dell’effettiva consegna e distruzione delle armi e del reintegro di chi è stato coinvolto nel conflitto tramite programmi mirati a promuovere l’istruzione, l’impiego, la giustizia sociale e la riconciliazione.

 

La funzione principale del rapporto, ha osservato il presidente dell’Ispi, Boris Biancheri, «è dare uno sguardo al futuro, per chiederci che cosa possiamo fare»: prendere a cuore lo sviluppo dell’Africa infatti «è interesse nazionale di ogni Paese – ha aggiunto Vines – perché viviamo in un mondo sempre più interdipendente». Futuro sul quale pende la spada di Damocle della crisi mondiale, sia per l’impatto negativo che ha avuto sugli aiuti, sia perché – ha notato la Giovannetti – «è stata rilevata una relazione diretta tra recessione economica e conflitti». Conflitti che hanno come comun denominatore l’ineguaglianza e l’ingiustizia sociale, che diventano quindi i veri fronti su cui agire.

 

Non tutto il male però viene per nuocere: se, come ha osservato Tadesse, «lo sviluppo può esso stesso essere di stimolo ai conflitti», questi stanno tuttavia aiutando a «prendere coscienza che progresso, pace e sicurezza vanno di pari passo. E sicurezza significa dare voce alla gente, dar loro potere effettivo, e ricreare fiducia nello Stato». Il rapporto tra i cittadini e le istituzioni è parte integrante della giustizia sociale: «Se pensiamo che i conflitti in Africa si sono rivelati un fattore di cambiamento molto più delle elezioni, i cui risultati vengono a volte considerati illegittimi a priori – ha osservato il direttore dell’Ispi, Giampaolo Calchi Novati – capiamo perché molti ritengano che i problemi si risolvano con la violenza». Nel ricostruire questa fiducia giocano un ruolo fondamentale le istituzioni periferiche e quelle tradizionali, «legittimate agli occhi della popolazione molto più di quelle centrali, e che spesso travalicano i confini dei singoli Stati, innescando processi virtuosi di cooperazione regionale». L’importanza della collaborazione tra Stati africani è infatti stata sottolineata da tutti i relatori: l’Unione africana e l’Ecowas sono esempi positivi in questo senso. Buone premesse il cui sviluppo potrebbe essere incoraggiato dai semi di una coscienza rinnovata che stanno germogliando nel continente, come dimostra la diminuzione dei conflitti negli ultimi anni e una crescente intolleranza verso la violenza.

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