Gioia di vivere

Il concerto di Claudio Abbado a Roma con l'Accademia di Santa Cecilia è un inno alla vita. Leggerezza, forza e potenza fanno volare alto il pubblico. Una celebrazione della musica.
Claudio Abbado

Un evento. Una volta tanto il concerto che Abbado ha eseguito all’Accademia di Santa Cecilia in Roma  dal 26 al 29 marzo con la “sua” Orchestra Mozart, merita questo termine abusato.

 

Nella sala gremita e straordinariamente silenziosa, il maestro – che non ama questo titolo, ma si fa chiamare semplicemente “Claudio” (e non è un vezzo) – è risuonata la Sinfonia n. 4 “Italiana” di Mendelsshon. Già dallo stacco in “pizzicato” iniziale la cascata di suoni energici senza esser violenti, ma chiarissimi ha riproposto una lettura originale del popolare brano. Abbado sembra far volare, col gesto largo e suscitatore di onde sonore, la musica. La fa scintillare nel primo tempo, cantare senza patetismi nell’Andante e nel Finale rapidissimo essa diventa iridiscente, luminosa.  E’ la vita che rende esultante il gesto e il moto perpetuo di Abbado sul podio. E lui che la vita l’ha provata nel successo ma anche nella malattia, ora la sa far “vivere” e donare a chi ascolta.

 

Passare da Mendelsshon a Mozart non è facile. Al romanticismo equilibrato del primo, segue il mondo così sfuggente, nella sua apparente semplicità, del secondo. Giuliano Carmignola, virtuoso del violino, esegue il Concerto in sol maggiore k.216. Anche qui un brano arcinoto. Abbado accompagna senza mai far cadere di intensità l’orchestra, si sente che direttore e solista stanno facendo musica insieme. E se il virtuoso ha qualche lieve sbadatura tecnica, non importa, perché il canto “ a due” prosegue con tranquilla sicurezza.

 

Quando poi tocca al solo direttore condurre la celebre Sinfonia “Jupiter” mozartiana, ce ne fa cogliere la ricchezza introspettiva e costruttiva, l’essere aperta al futuro ma anche conclusiva di un intero periodo di civiltà. Dentro questa sinfonia c’è Bach e tutto il sei-settecento, ci sono anche pensieri futuri, accenni malinconici, tocchi drammatici. Ma è Mozart e tutto è avvolto da un’aura imperturbabile e soprattutto vitale. Abbado sottolinea l’esultanza di questa musica, la sua voglia di comunicare e di volare dentro e sopra il cuore degli uomini. Quando poi, sommerso dagli applausi, esegue come bis l’ouverture “Egmont” di Betehoven, vorticosa, con gli squilli degli ottoni che glorificano la storia e l’uomo, l’orchestra – meravigliosa in ogni settore – celebra l’apoteosi della musica: leggerezza, forza, potenza. E gioia. Abbado incita con energia vivacissima gli archi ad una velocità incredibile perché gli ottoni sfolgorino l’oro del loro suono.

Indimenticabile.

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