Martedì 29 luglio 2025 si è tenuta presso la Camera dei deputati a Roma la conferenza organizzata dal gruppo interparlamentare Pace in Palestina e Israele, coordinato dalla deputata Stefania Ascari del M5S, per presentare ufficialmente in Italia il rapporto redatto dalla relatrice Onu sui territori palestinesi occupati, la giurista italiana Francesca Albanese, intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”.
Un lavoro di indagine durato oltre 6 mesi che chiama in causa i legami di una buona parte del sistema economico finanziario, e non solo, nelle atrocità in atto nella Striscia di Gaza da parte del governo israeliano di Benjamin Netanyahu, oltre alle continue vessazioni e violenze che colpiscono la popolazione palestinese in Cisgiordania.
L’evidenza di ciò che sta avvenendo sotto gli occhi del mondo è testimoniata dall’iniziativa di 60 ex diplomatici italiani con grande esperienza, che hanno firmato l’appello scritto dall’ambasciatore Pasquale Ferrara, che fino a pochi giorni addietro ha ricoperto una posizione di vertice alla Farnesina, per sollecitare il governo Meloni a riconoscere lo Stato della Palestina.
Un atto irrituale che testimonia la situazione estrema di violazione dei diritti umani in atto contro la popolazione civile palestinese, fino alla morte per fame, in quell’area del Medio Oriente come testimonia la telefonata di solidarietà ricevuta, nella stessa mattinata, dal cardinale Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, da parte del ministro degli Esteri Tajani dopo l’ennesima aggressione dei coloni fondamentalisti contro Taibeh, l’ultimo villaggio palestinese interamente cristiano presente nei territori palestinesi occupati da Israele.
Le accuse di Francesca Albanese sono state pronunciate in una Roma attraversata da un flusso festoso di giovani in arrivo per il loro Giubileo della speranza, con le bandiere di tanti Paesi, compresa quella palestinese, che garriscono al soffio di un fresco vento che sembra di primavera.
Le stanze della politica sono, invece, in subbuglio per le gravose conseguenze dei dazi imposti da Trump all’Unione europea, accentuando il senso di instabilità che proviene da troppi fronti di guerra.
La presentazione del rapporto ha visto la presenza dei soli rappresentanti di una parte dell’opposizione parlamentare, ma si è conclusa con l’invito rivolto a tutti di riscoprire il senso di umanità che supera ogni tipo di appartenenza. Particolare attenzione è stata rivolta all’importanza di un’informazione libera, chiamata ad indagare senza accettare verità di comodo o cedere a forme di censura o, peggio, di autocensura.
Il testo del rapporto è disponibile in italiano e si presta a riscontri e verifiche di ogni genere. Relativamente al coinvolgimento delle imprese italiane nella filiera che alimenta l’azione del governo Netanyahu esistono, poi una serie di inchieste condotte dal periodico Altreconomia e illustrate dal suo direttore Duccio Facchini durante l’incontro presso la Camera.
La fase finale di cancellazione del popolo palestinese
«Siamo dinanzi – ha esordito Francesca Albanese – a quella che, se non viene fermata, è la fase finale della cancellazione del popolo palestinese in Palestina. Vi parlo oggi con un senso di angoscia che le parole difficilmente possono esprimere. Non so più cos’altro dire. Ho trascorso la fine del 2023 e tutto il 2024 a documentare atti di genocidio. A distanza di 15 mesi non sono più la sola a parlare di genocidio. Non ci sono solo le più grandi organizzazioni di diritti umani a livello internazionale come Amnesty International o Human Rights Watch, ma anche storici israeliani che si occupano di genocidio».
Senza mezzi termini, Albanese afferma che il governo israeliano «sta commettendo atti di genocidio e lo fa colpendo al cuore il diritto internazionale, praticamente ribaltando il diritto umanitario che è la linea ultima oltre la quale c’è la barbarie, è la protezione della vita in situazioni in cui la vita non è necessariamente protetta come quella della guerra».
Le dimensioni della tragedia non ci sono note nella loro interezza, afferma la relatrice dell’Onu, perché lo avremo forse «soltanto quando la polvere si poserà sulle macerie, sulle fosse comuni e quello che resta di quel pezzo di terra martoriato. Le cifre ufficiali oggi ci parlano di 200 mila tra morti e feriti, mentre gli esperti sanitari stimano che il bilancio reale sia molto più alto».
È in tale quadro che appare senza senso il fatto che si continui a delegare la distribuzione degli aiuti agli Stati Uniti e a Israele, lo stato cioè «accusato in questo momento di tre crimini internazionali: genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, tra cui l’uso della fame come strumento di guerra». Ma è gravissimo ciò che avviene lontano dai riflettori in Cisgiordania, «dove l’intera valle del Giordano, che fino fino a un paio di anni fa ospitava 8 mila comunità di pastori e di contadini, è stata completamente svuotata di vita palestinese». «Ogni giorno e ogni notte si moltiplicano gli attacchi di coloni armati, violenti, accompagnati dall’esercito», mentre «è gravissimo che si continui a commerciare, a trasferire armi ad Israele».
Usando un’immagine di grande effetto per indicare la responsabilità nel sostegno economico e finanziario a tali azioni Francesca Albanese afferma che «se la Palestina fosse una scena del crimine, avrebbe le impronte digitali di tutti noi».
Imprese, banche, università
Attraverso l’uso del settore privato, Israele ha impiegato l’industria bellica per il controllo e lo sfollamento, macchine da costruzione per demolire case e ulivi, e l’industria della sorveglianza per creare aree di segregazione. Le imprese edili hanno costruito colonie, reti idriche che sfruttano l’acqua palestinese e infrastrutture che collegano le colonie a Israele. Anche aziende apparentemente innocue come Airbnb e Booking.com sono coinvolte, promuovendo proprietà costruite su terre rubate ai palestinesi nelle colonie.
Il coinvolgimento di banche e istituti finanziari sta avvenendo attraverso la concessione di crediti e il sostegno alla vendita di bond israeliani, sostenendo così un’economia che altrimenti sarebbe crollata a causa della sfiducia dei mercati. «La borsa valori di Tel Aviv – ha affermato Albanese -è cresciuta di tre volte rispetto all’ottobre del 2023, del 200% ammassando 220 miliardi di dollari, 70 miliardi dei quali nell’ultimo mese, dopo che ho finito di scrivere il rapporto».
È in questo quadro che si colloca il contributo delle industrie militari, come l’italiana Leonardo, che forniscono componenti per armamenti (ad esempio, gli aerei F35 usati a Gaza in “modalità bestia”) per indicare la loro capacità distruttiva) che vengono testati e perfezionati sui palestinesi.
La relatrice dell’Onu si è detta inizialmente contraria al boicottaggio e alla sospensione anche degli accordi universitari, ma ha cambiato idea dopo aver approfondito il loro ruolo di «pilastro fondamentale della spoliazione, depredazione e annientamento dell’identità palestinese», perché non solo sono fondamentali alla produzione di armi e tecnologia, ma anche nella narrazione, ad esempio di colleghi giuristi che «presentano Israele come la vittima perpetua di tutti gli attacchi, invocando un’autodifesa che ai sensi della carta delle Nazioni Unite non esiste».
Il coinvolgimento dell’Italia
Con riferimento specifico all’Italia, il direttore di Altreconomia Duccio Facchini, ha affermato che Leonardo S.p.A. ha continuato a esportare in Israele nel 2024, sostenendo che si trattava di autorizzazioni rilasciate prima del 7 ottobre 2023. Tra le forniture rientrano attrezzature, ricambi e persino corsi di formazione a distanza relativi al programma dei velivoli M346. Questi aerei, prodotti in Italia da Alenia Aermacchi (controllata da Leonardo), non sono armati e non sganciano bombe, ma sono utilizzati dai piloti dell’Aeronautica israeliana per l’addestramento, in preparazione all’uso di aerei da combattimento come gli F-16 o F-35. Questa continuità solleva problemi rispetto agli obblighi giuridici internazionali dell’Italia. Inoltre, Leonardo ha confermato la prosecuzione del programma M346 nel 2024 (con 7 milioni di euro nei primi 9 mesi), ma ha rifiutato di fornire dettagli sull’ammontare e la tipologia dei servizi.
Facchini ha affermato che l’Italia è coinvolta anche nell’esportazione di munizioni e armi, teoricamente civili, verso le colonie israeliane in Cisgiordania, che, come è noto, sono dichiarate illegali ai sensi del diritto internazionale. Altreconomia ha potuto riscontrare la presenza documentata di munizioni, pistole e armi di piccolo calibro italiane, vendute anche da hotel che ospitano negozi per i coloni. Esistono addirittura fotografie di minori di 12 anni in possesso di pistole Beretta italiane all’interno degli insediamenti illegali.
C’è poi tutto il capitolo del materiale dual use (cioè a doppio uso, militare e civile) che presenta notevoli criticità secondo Facchini dato che l’Italia ha esportato ingenti quantità di questo materiale a Israele, spesso mascherandolo come prodotti per uso agricolo, come il nitrato d’ammonio (un componente chiave per esplosivi) e i cordoni detonanti. «L’Italia – ha affermato il direttore di Altreconomia – ha preso il posto di altri Paesi europei che avevano smesso di esportare tali materiali, rendendosi potenzialmente responsabile per le demolizioni controllate all’interno della Striscia di Gaza».
Altreconomia ha poi messo in evidenza un’inchiesta della Procura di Ravenna che ha rivelato un caso paradigmatico di tentata triangolazione per eludere la legge 185/90 (che pone limito all’esportazione di armi). L’Agenzia delle Dogane ha fermato un carico di 13 tonnellate di “forgiati metallici” (800 pezzi potenzialmente destinati a carri armati israeliani) spedito da un’azienda di Lecco che non li aveva prodotti e non si era sottoposta alla procedura di autorizzazione. È emerso che i forgiati erano stati prodotti da due aziende di Varese, regolarmente iscritte al registro nazionale, che secondo Facchini, avrebbero tentato questa triangolazione per aggirare le nuove autorizzazioni. Si è scoperto che l’azienda di Lecco aveva già effettuato quattro spedizioni simili nel 2024, destinate a Israel Military Industries, una delle principali aziende belliche israeliane.
Democrazia e libera informazione
L’intervento di Facchini ha permesso così di mettere in evidenza l’importanza del mondo dell’informazione per la tenuta democratica del Paese invitando a fare lavoro di approfondimento sulle notizie, non accettando versioni di comodo della realtà che si presenta in tutta la sua tragicità che impone di non restare silenti.
La presenza di Francesca Albanese in Parlamento è stata contestata da quella parte dell’informazione che l’accusa di essere poco distaccata nella sua attività di alto funzionario dell’Onu, mentre alcuni la presentano come compiacente verso Hamas.
La relatrice, da parte sua, ha invitato ognuno ad una presa di coscienza e all’azione per fermare la “fase finale della cancellazione del popolo palestinese”, sottolineando la necessità di agire per prevenire il genocidio e garantire il rispetto degli obblighi internazionali.