Fratelli di fede

La preghiera comune nella settimana per l’unità dei cristiani  diventa occasione per scoprire il disagio della comunità ghanese e nigeriana
Bari
Nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, promossa dalla Conferenza Episcopale Europea, anche il Gruppo Ecumenico di Bari (GEB) operante ormai da oltre quarant’anni ha organizzato numerosi incontri di preghiera ecumenica, realizzati nelle chiese di diverse confessioni cristiane della città. L’esperienza del dialogo interconfessionale ha suscitato nel tempo il fiorire di rapporti con i membri delle diverse comunità che hanno dato origine a incontri di preghiera in comune, e a momenti di profonda condivisione spirituale e umana.

 

Tra le diverse comunità evangeliche, a Bari c’è la Christ Victory Curch, formata prevalentemente da nigeriani e ghanesi, situata nel quartiere San Paolo alla periferia della città, in condizioni di profondo disagio economico. Francesco e Rosa Megli, da anni a servizio del dialogo ecumenico nel Movimento dei focolari, e nel GEB – presieduto proprio da Francesco – hanno partecipato all’incontro di preghiera presso la loro sede. «La comunità si incontra in un capannone industriale arredato e riscaldato in qualche maniera », – ci racconta Renzo Megli, un giovane ingegnere che si è unito all’iniziativa -. Questa è la parrocchia della Christ Victory Church, una chiesa cristiana pentecostale». In quel capannone i cattolici baresi si sono trovati per la prima volta una minoranza rispetto agli altri fedeli africani. Alla preghiera si sono uniti infatti anche fedeli evangelici e ortodossi.

 

«Entrato in questa  specie di chiesa – prosegue Renzo – sono stato subito accolto da dei ragazzi con un sorriso e un buonasera. Accanto ad altare posticcio, al posto dell’organo e della chitarra c’erano una batteria, dei bonghi e una tastiera. In fondo c’era una tenda che creava un altro spazio separato: è l’abitazione di qualche fedele che non possiede una casa propria». La stranezza di quel luogo situato in una zona desolatissima, arredato alla ben meglio, popolato da gente che di solito vedi in mezzo alla strada a vendere merce contraffatta o merce rubata o il proprio corpo, ha creato tante domande, soprattutto in Renzo. «È semplice per me, ragazzo occidentale che ha potuto studiare con i soldi dei genitori, che ha una casa, una macchina, che può fare sport di lusso, credere all’amore di Dio – prosegue -. Ma loro poverissimi e senza niente, abituati ad essere discriminati e giudicati in un paese che non è il loro, costretti a fare qualsiasi tipo di lavoro per mangiare, come fanno a credere all’amore di Dio?».

 

Impressiona il vederli cantare e esclamare “Alleluia” oppure “Amen” verso le parole incoraggianti del pastore. Nella preghiera si leggeva: “Il Signore ha elevato il povero. Il Signore ha nutrito l’affamato. Parole che si credono per fede o per abitudine e non tanto per convinzione. E invece questi giovani africani lo sperano, lo desiderano e lo bramano con tutto il cuore. Colpisce, poi, la loro partecipazione: cantano tutti insieme a squarciagola (anche chi è stonato). Nei momenti di preghiera si avverte un brusio e il primo pensiero è che al solito la gente non fa attenzione e non rispetta la celebrazione. Poi invece scopri che in questa comunità si prega e si colloquia con Dio a voce alta, senza formule e con spontaneità. Alla fine della celebrazione il sorriso è più grande di quello riservato all’entrata. Ora è  ricolmo della reciprocità creata e sperimentata nella celebrazione.

 

«L’aspetto più toccante è stato quello di aver visto queste persone con occhi nuovi – spiega Renzo. Non il marocchino, il venditore ambulante o la prostituta, non solo fratelli bisognosi d’aiuto, ma vedere in loro uomini e donne con la tua stessa dignità». E questa dignità è uno degli scopi che la Christ Victory Church cerca di restituire anche alle donne “schiave della strada”, aiutandole a raggiungere la libertà. La comunità si sta allargando sempre più a persone migranti aderenti alla stessa confessione, ma prive di ogni necessità e di assistenza sanitaria e che qui trovano un porto sicuro. I movimenti laicali e la diocesi locale cercano di sopperire alle numerose necessità che ci auguriamo possano essere presto superate da una completa integrazione sociale. All’uscita pioveva. E’ stato spontaneo offrire un passaggio in macchina ad una ragazza, di nome Gift (Dono). Il ghiaccio poi è stato sciolto ed è facile chiedere notizie come si fa tra amici, sentendola una di noi e non una nostra “assistita”. Lo spirito di fraternità è fatto di piccole cose e la diversità non è mai scusa  per innalzare barriere.

 

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons