Francesco, un amico

Trasparente. È lo sguardo di Raoul Bova, 31 anni, diretto come il suo modo di accoglierti, semplice e franco. È naturale incominciare il discorso su “Francesco”, la fiction di Michele Soavi, che, comunque se ne parli, ha lanciato messaggi autentici e regalato momenti di vera commozione. Uno dei momenti più suggestivi del film è la morte di Francesco, che da solo si chiude gli occhi. “È stata una scena difficile da raccontare, ma al regista è venuta l’idea di far risaltare con quel gesto sia la mano di Francesco che quella di Dio che gli chiude gli occhi. Per me è stata una grande emozione. L’idea di sentire la mano divina che ti chiude gli occhi, ti porta come un sorriso sulle labbra, perché mi dava la sensazione di essere toccato da Dio. Mi è rimasto questo sorriso anche a scena ultimata, spontaneamente: forse veniva naturale dopo il “cantico delle creature” dove si parla di “sorella” morte”. Il Cantico è quindi uno dei punti di ispirazione del film. “Assolutamente. Ce lo siamo ritrovato un po’ ovunque o comunque c’era dentro di me nei momenti in cui lo interpretavo. È un brano che mi aveva colpito anche prima di girare il film, mi sembrava un qualcosa di unico, fra la favola e la preghiera. Ma tutto quello che ho fatto per cercare Francesco è stato un bel cammino per trovare me stesso: io lo cercavo nelle cose più complicate, mi aspettavo qualche illuminazione, ma in realtà era molto vicino a me, era dentro di me. Dovevo semplicemente cercare di stare in silenzio, di ascoltare la voce più intima, la voce del cuore, perché molte volte non prestiamo attenzione alle cose semplici”. Per prepararsi è stato in un convento, ha voluto soffrire fisicamente la fame, la sete… “Sì, perché siamo abituati ad una vita agiata, ma il camminare sulla neve o sui sassi, lo stesso patire la fame (Bova è diminuito di oltre 15 chili, ndr) ti danno automaticamente sensazioni diverse, lo stesso corpo assume posture differenti. E cambi atteggiamento nei confronti delle persone che hanno fame. Insomma, è stato tutto un provare ad essere più vicino a Francesco, sentire quello che ha sentito lui, avvicinarmi al suo pensiero: volevo arrivare a questo, non certo ad una identificazione fisica. Certo il digiunare, ad esempio, porta delle grosse difficoltà, anche umorali, ma poi passata questa fase sei più libero, la tua anima è molto più sensibile, ascolti molto di più”. Parlava di sensibilità verso chi ha fame. Fa qualcosa di concreto in proposito? “Faccio parte di un’associazione “Vento e Sole” (www.capitano ultimo.it), cui tutti possono aderire, che raccoglie fondi per comprare pannelli solari e mulini a vento per una località del Guatemala. Siamo appassionati della cultura maya, portiamo corrente, acqua potabile, nel pieno rispetto della natura: i soldi poi serviranno anche a costruire case, centri sociali, scuole, una università, per rendere questo popolo indipendente. Tutto viene gestito con limpidezza: piazzeremo infatti una telecamera collegata con Internet che farà vedere 24 ore su 24 l’andamento dei lavori, in modo che si possano vedere come vengono spesi i fondi (abbiamo raccolto 300 milioni con la “partita del cuore”) ed anche possa diventare un mezzo di interscambio con il popolo maya”. Sono passati alcuni mesi dalla fine delle riprese. Cosa le rimane dell’incontro con il personaggio Francesco? “Nell’anima mi è rimasto lui, i suoi insegnamenti. È stato tutto così leggero, penetrante, come entrare in una piscina e uscirne bagnato, bagnato di Francesco: qualcosa che ti rimarrà dentro. È come aver incontrato un amico dopo tanto tempo e ti viene da percorrere una strada insieme a lui. “Devo dire che mi trovavo in un momento della vita in cui pensavo che non esistesse nell’ambito della chiesa una figura a cui rivolgersi. Nella mia vita ho dubitato di Dio, della chiesa, di tutto, faceva parte del mio modo di amare Dio e la chiesa: c’erano a volte cose che mi davano fastidio, troppo politiche o fuori dalla realtà. Non capivo perché una cosa così grande come quella di Dio non potesse esser detta al passo coi tempi, mantenendo il messaggio da far capire ai giovani – che sono molto importanti – con un linguaggio giusto, ritornando alle origini. I miei riferimenti erano Madre Teresa e il papa, ma nonostante tutto, li vedevo anche un po’ isolati… “Ho trovato in Francesco la figura più libera nell’essere dentro la fede, ma anche nell’amare comunque la chiesa, perché è simbolo di una casa di Dio. Amarla a modo mio, senza schemi, perché sono convinto che Dio lo amo per come lo sento io, per il rapporto che ho con lui. Mi ritrovo in quello che diceva Francesco: il vangelo, senza sovrastrutture, messo in pratica, sull’esempio di Francesco, il suo controcorrente, contro le gabbie e gli stereotipi della nostra società in cui cadiamo e che ci fanno essere dei morti viventi, andare in giro tutti uguali nel modo di pensare, nelle prospettive di vita. Anche Roma sta diventando una città cupa, è una cosa drammatica, bisogna reagire”. E lei come si mette controcorrente? “Innanzitutto nei confronti di me stesso, col rendermene conto e cercando di pensare con la propria testa, lottando per quello che pensi sia giusto, anche in difesa degli altri. Per esempio, dal lato ecologico, io vorrei subito acquistare – senza regali da nessuno, lo preciso – una macchina elettrica, appena possibile. Poi, nei confronti della solidarietà, non aspettare che si muovano le associazioni, ma muoversi in prima persona, magari con quatto amici raccogli soldi o vestiario e diventi un centro operativo per aiutare gli altri. Quando si fa questo, ti senti più fiero, sollevato, più leggero, hai trovato la tua forma di lotta. “Un’altra cosa è trovare la pace dentro di sé”. Mi sembra che essa sia qualcosa di molto importante per lei. “Sì, perché molte volte la perdiamo, e non si sa perché. Per esempio, dopo la prima puntata di Francesco, ci sono state molte critiche, persone che hanno detto più male che bene. Io ero furibondo. Poi mi sono riletto la “perfetta letizia” e ho pensato: perché mi devo far rovinare un solo giorno che Dio mi ha donato della mia vita per rimanere male di parole dettate magari dall’invidia o dal rancore? Io devo essere felice della mia vita, perché quello che ho fatto l’ho dato con il cuore, con l’anima. Non mi curo dei giudizi altrui, e questo di fronte a Dio e a Francesco è sufficiente per me: loro sanno che ho dato il massimo”. Da come ne parla, sembra che ci sia un colloquio frequente fra lei e Francesco. “Diciamo che mi ha preso per mano (ride, ndr), mi ha guidato. Infatti, nell’arco della lavorazione ho ricevuto diversi “segnali” a cui forse nella vita non avevo posto attenzione. In realtà ce ne arrivano di “segnali” tutti i giorni, non ce ne rendiamo conto. Non è che perché ho girato Francesco mi sono arrivati tutti i “segni”, ho solo aperto un po’ più gli occhi, lui mi ha fatto capire quanto li avevo chiusi prima”. “Prima”, la vita era forse troppo vorticosa per fermarsi.. “Esatto. Un po’ perché questo lavoro ti porta ad avere degli alti e bassi molto forti, un giorno sei superfamoso e un altro se le cose non vanno bene, ti dimenticano e magari non lavori più nella vita. È un lavoro molto bello ma molto crudele, in cui i sentimenti entrano poco. Con qualche eccezione: la sera dell’anteprima, ho ricevuto i complimenti del presidente Ciampi e di Piersilvio Berlusconi. Quest’ultimo, commosso, mi ha ringraziato per un’operazione – questo film – che era stata molto difficile da realizzare, dicendo che a lui non interessava l’audience ma aver fatto un prodotto del genere. Sono momenti che rincuorano, ma generalmente non succedono e quindi i nostri stati d’animo sonomolto ballerini, vanno su e giù. Il film è arrivato in un momento in cui avevo perso la mia ricerca interiore, il parlare con me stesso, il saper dare lo spazio giusto al lavoro: che è importante, ma in confronto alla vita!”. Molto spesso ha incarnato sullo schermo eroi positivi (ma non in “Avening Angelo” con Stallone). Una scelta personale o un’esigenza di copione? “Sicuramente ho una predilezione per gli eroi positivi (sorride, ndr): mi danno più gioia, più emozione, sono un esempio per i giovani. Però, se è giusto interpretare questo tipo di personaggi per arricchire sé stessi, a volte è interessante capire quanto si soffre quando si è negativi. Anche sotto questo aspetto il mio è un lavoro interessante, perché la vita è pure fatta di bene e di male”. Torniamo a Francesco. Secondo lei, da dove gli veniva la sua caratteristica “letizia”? “Certo, ha avuto un percorso molto lungo: ha pianto, ha gridato, ha dubitato, si è chiesto dove andava. La sua “letizia” credo derivi dall’esser andato in giro senza pelle, con una grande apertura verso il mondo, nel sentirsi fratello di ogni forma di vita. Mi ha fatto capire quanto è importante la vita , mi ha affascinato con la semplicità di portarla dentro di noi come un miracolo di Dio. Per questo, automaticamente, il momento in cui tu sai che sei un miracolo divino non puoi che essere felice”. I suoi due bambini, Alessandro Leon e Francesco, di un anno, li considera allora un miracolo? “Assolutamente. Sono nati il primo a casa e il secondo in ospedale, entrambi nell’acqua: un elemento fondamentale per me (Bova ha pure un passato da campione di nuoto, ndr) ed ho scoperto anche per Francesco”. Lei è felicemente sposato con Chiara Giordano: la risposerebbe ancora? “Io la risposerei e la risposo ogni giorno: ogni mattina quando mi alzo, la vedo, la guardo, sono contento di aver fatto questo passo insieme a lei. Dentro di me c’è di nuovo una scelta, una conferma, un sì: sono molto contento”.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons