Fra poco passa il Giro

Al via sabato 5 maggio dalla Danimarca il 95° Giro d’Italia, con 21 tappe, 22 squadre, 198 corridori e 38 nazioni rappresentate
giro d'Italia

Saranno 3.503,9 km di pura passione, da Herning, in Danimarca, ridente cittadina danese dello Jutland centrale, fino a Milano. Il Giro d’Italia non è fatto solo di biciclette, tubolari e corridori. Oramai nello scrivere queste due parole, “Giro d’Italia”, si identifica un immaginario collettivo che trascina con sé: le gesta dei grandi campioni, la storia di un paese, un pezzo di cultura sportiva e non solo. C’era chi era per Coppi, chi per Bartali, in un’epoca dove in calcio era ancora un semplice gioco e le biciclette dominavano la scena, elette a veicolo democratico per eccellenza.

«Serve ancora una faccenda stramba come il Giro d’Italia?» chiese Dino Buzzati commentando un ciclismo d’altri tempi alle soglie dell’era post moderna. «Certo che serve: è un caposaldo del romanticismo assediato dalle squallide forze del progresso», fu la sua risposta. E a pensarci bene non aveva tutti i torti.

Sempre diviso a metà tra innovazione e globalizzazione, storia e tradizione, il ciclismo continua a recitare la parte di sport popolare amato dalla gente nonostante tutto. E il ciclismo sta al Giro come il padre al figlio. Anno dopo anno, la magia si ripete e la corsa rosa veste i panni di una dama fresca ed elegante che non vuole però nascondere le rughe del tempo che narrano una vita oramai vissuta nei secoli.

Serve un Giro d’Italia che parte dalla Danimarca e che ritorna alle italiche origini dopo tre tappe? Il dibattito è aperto. Il fatto è che anche il fascino degli eventi sta diventando sempre più globale. I soldi delle sponsorizzazioni attirano le grandi competizioni, pronte a sfilare in scenari poco consoni alle origini. Serve veramente un Giro così, se è fatto per esportare e condividere un patrimonio socio-culturale che non è solo italiano, ma universale. Oggi chi non ha fra le pagine dei libri di storia un evento che si ripete ogni anno e che calamita l’attenzione di una nazione intera per tre settimane, lo vuole avere, affittandolo, a suon di “milionate”. Perché in fondo un pizzico d’invidia c’è, perché per una volta: «sono gli eroi a venir da te, nel tuo paese, nella tua città ed organizzano un randez-vous».

Gli “eroi” quest’anno sono per la precisione 198, perché ogni corridore ha sempre imprese ed epiche narrazioni da raccontare,  siano esse vittorie o infinite tribolazioni per rimanere in coda al famoso “gruppetto”, davanti alla “scopa”, il veicolo che chiude la corsa.

Insieme ai super favoriti della vigilia: Michele Scarponi, Damiano Cunego, Ivan Basso, Josè Rujano, Joaquin Rodriguez, John Gadret, Frank Schlek, saremo orfani del numero di gara “108”, ritirato per sempre dalla corsa. Era quello di Wouter Weylandt, corridore belga scomparso tragicamente lo scorso anno a seguito di una fatale caduta durante la terza tappa. “WW” sarà l’acronimo che vedremo scorrere alla velocità dei corridori lungo le strade, fino ad abbracciare il nome di Pantani,  Bartali e Coppi. Per non dimenticare, per capire che «gli eroi autentici vanno per tempo rapiti in cielo. Non possono vivere fra di noi, al nostro mediocre livello». Lo scrisse Gianni Brera.

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