Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di Fomo, acronimo inglese di Fear of Missing Out, ovvero “paura di perdersi qualcosa”. Questo fenomeno psicologico ha suscitato l’interesse di studiosi e ricercatori, soprattutto perché si inserisce in un contesto che ci riguarda tutti da vicino: quello di una società iperconnessa, in cui l’accesso a informazioni e relazioni è costante e immediato grazie alle tecnologie digitali.
Alla base della Fomo c’è il timore di restare esclusi da esperienze significative vissute da altri. Questo timore si traduce, per molte persone, in un bisogno continuo di restare connessi ai propri contatti attraverso i social network e i servizi di messaggistica. In effetti, il dibattito su quanto tempo passiamo davanti agli schermi, e sulle possibili conseguenze per il nostro benessere, è oggi più acceso che mai, sia a livello scientifico che sociale.
Il termine Fomo è entrato nel lessico dei media all’inizio degli anni 2010, in un periodo in cui l’uso dei social stava crescendo in modo esponenziale. Con la diffusione degli smartphone, è diventato più facile che mai restare aggiornati su ciò che fanno gli altri, scoprendo in tempo reale eventi, viaggi, feste o momenti di vita quotidiana che ci riguardano solo indirettamente. Da subito, la Fomo è stata descritta nei media come una fonte di ansia.
In ambito scientifico, la Fomo viene oggi definita attraverso due componenti fondamentali: da un lato, la paura che gli altri stiano vivendo esperienze piacevoli senza di noi; dall’altro, il desiderio costante di rimanere connessi con la propria rete sociale. La prima componente è legata a dinamiche cognitive, come la preoccupazione e la ruminazione; la seconda, invece, implica comportamenti di controllo – come il continuo aggiornamento dei feed social – che cercano di ridurre quell’ansia, in modo simile a quanto accade nei comportamenti compulsivi legati al disturbo ossessivo-compulsivo.
Questo controllo può essere sia attivo, quando navighiamo volontariamente sui social, sia reattivo, come accade quando riceviamo notifiche e sentiamo l’impulso di rispondere subito. Da un lato, queste notifiche sono viste positivamente perché ci fanno sentire connessi e aggiornati; dall’altro, sappiamo che interrompono le attività quotidiane, riducono la concentrazione e rendono difficile tornare al compito che stavamo svolgendo. È quello che gli esperti chiamano “costo di passaggio”, una fatica mentale che compromette la nostra produttività.
Naturalmente, va fatta una distinzione importante: un uso elevato dei social network non è di per sé problematico. Lo diventa quando interferisce con il nostro benessere o la nostra quotidianità, come accade in altri tipi di dipendenza. In questi casi, possono emergere sintomi simili a quelli legati all’abuso di sostanze: tolleranza (bisogno di passare sempre più tempo online), astinenza (ansia o irritabilità quando si è disconnessi), e un impatto negativo sulla vita sociale o lavorativa.
Oggi, la Fomo è considerata un costrutto psicologico centrale nell’era digitale. Diversi studi hanno evidenziato che essa è legata a un uso più frequente – e spesso problematico – dei social e degli smartphone, e che può contribuire all’aumento di ansia, depressione, emozioni negative e a una più bassa qualità della vita. Sebbene colpisca in modo particolare i giovani, la Fomo può interessare persone di tutte le età, specie in ambienti dove la presenza digitale è costante.
Eppure, non tutto è perduto. La Fomo, pur essendo una sfida del nostro tempo, si può affrontare. Esistono percorsi terapeutici che aiutano a gestire i pensieri disfunzionali e a ristabilire un equilibrio emotivo. Anche gli interventi educativi e le strategie di autoregolazione, come stabilire limiti nell’uso del telefono o riscoprire momenti offline, possono contribuire a creare un rapporto più sano con la tecnologia e con le relazioni sociali.
In definitiva, comprendere la Fomo significa anche prendere consapevolezza dei nostri bisogni emotivi, delle nostre abitudini e del modo in cui ci relazioniamo con gli altri nel mondo digitale. Solo così possiamo trovare un equilibrio tra connessione e benessere.