Film sulla famiglia

Nonostante sia considerata sempre in crisi,  resta al centro, non solo della società, ma anche in un gruppo di pellicole ora nelle sale. Alcuni esempi

Non c’è dubbio che un film come Happy End di Michael Hanecke sia una analisi tremenda, sul filo di una micidiale ironia, non solo sui rapporti familiari, ma in linea più vasta sui rapporti interpersonali e, su un piano più universale, sulla società umana attuale e di sempre. La famiglia altoborghese Laurent, che vive a Calais di fronte all’Inghilterra sognata dai migranti, ha soldi, potere ed una infelicità immensa. Ma nascosta sotto il velo della formalità, che è poi indifferenza, e di una ipocrisia per cui ciascuno ha la sua vita e finge di vivere insieme agli altri.

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Se ne accorge l’adolescente Eve, orfana di madre, che deve vivere col padre risposato e nasconde nel silenzio e nell’occhio mesto un dolore tremendo. Il vecchio Georges, sulla sedia a rotelle, brusco e duro, entra lentamente in familiarità con lei e le due generazioni – nonni e ragazzi – si incontrano, si parlano.  La morte – la vera protagonista del film – evitata da tutti, diventa soggetto delle conversazioni fra i due. In questo ambiente cupo, la ragazzina scopre la doppia vita del padre, lo zio giovane folle ossessionato da una madre oppressiva, i mille sotterfugi per apparire decenti di fronte al pubblico (memorabile la scena del fidanzamento della madre con l’irruzione al ristorante dei migranti portati dal figlio e la glaciale immobilità degli invitati).  La perdita dell’innocenza e dell’amore (il pianto della ragazzina in macchina col padre “distante”) è la conseguenza più grave nell’intreccio di questa situazione, ed il senso della morte penetra nella tredicenne di fronte al nonno desideroso di farla finita, come forse inconsciamente vorrebbe anche lei in una sequenza terrificante e splendida, perchè inattesa.

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Nessuna speranza aleggia sull’umanità di oggi, attenta alle forme e vuota nel cuore, pare dire il regista che si avvale di un Jean-Louis Trintignant, vecchio magnifico attorno a cui ruota tutto il cast, compresa l’algida Isabelle Huppert. La vita è crudele: conosce davvero un Happy End?

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Per fortuna c’è il film di Andy Serkis Ogni tuo respiro a fare entrare un po’ di aria fresca. La giovane coppia Andrew Garfield e Claire Foy è brillante, molto  british, ama il Kenya dove spera di andare a vivere – siamo negli anni  Cinquanta -, ma la poliomelite improvvisa ingabbia lui, a 28 anni, per sempre. Ansia, disperazione, annebbiano la vita. Il giovane dovrà morire presto, sentenziano i medici. Ma lui non si arrende vuole vivere, per la moglie e il figlio. Lei coraggiosamente non lo abbandona, lo sostiene, lo incoraggia, cambia la vita: con gli anni l’amore tra loro, fatto di sacrifici, anzichè diminuire, si rafforza. Lui diventa difensore dei disabili, inventa un apparecchio per la respirazione e supera la sessantina. La storia è vera e veri sono i sentimenti, ma nulla di zuccheroso nel film o di compiaciuto vittimismo, ma solo la vittoria della vita sulla disperazione e la malattia.

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Ed infine, i giovani, ossia Gli Sdraiati di Francesca Archibugi che torna a parlare di un soggetto che le sta a cuore da sempre. E dirige un bel film, sincero, vero con due protagonisti: un diciassettenne che vive col padre separato e talora con la madre angosciata. Il padre, milanese preciso, conduttore televisivo di successo; lui, introverso, vive col gruppo di amici inseparabili, corteggia una lei sempre cupa, fanno sesso, fumano spinelli, non hanno ideali, sono spiritualmente “sdraiati”, ossia vivono sul momento senza troppi impegni. Il giovane è in verità bisognoso di affetto, ma non lo dirà mai. Se non in un paio di momenti, quando sta in ospedale a far da padre al padre e quando finalmente piange, rompendo la diga del silenzio e del mutismo. Padre e figlio non si prendono se non a frammenti, lo scontro generazionale è forte: sono due debolezze che si affrontano, due disagi entrambi scarsi di affetto e bisognosi invece di dialogo e di amore. Il ragazzo, spesso di umor nero, vorrebbe una famiglia stabile ma intuisce che oggi non è possibile, ed è una rinuncia che costa, ma inevitabile. Nessuno dei due è forte.

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Lo sguardo dell’Archibugi osserva con tenerezza gli adolescenti fragili e smarriti come gli adulti, questo mondo “liquido” dove nulla è più sicuro. Eppure, qualche barlume di rapporto, forse durante una passeggiata sui monti, padre e figlio lo possono trovare. Sarà un nuovo inizio o un momento passeggero?

L’Archibugi racconta, gira le scene senza affastellarle ma con ritmo televisivo, fa recitare benissimo Claudio Bisio in gran forma e il giovane liceale Gaddo Bacchini, che non si rubano mai la scena, e si completano come in un concerto a due. Impagabile la dolce mestizia dell’insieme, condita dall’allegria rumorosa giovanile e dalla sorridente (anche se talora amara) confusione paterna.

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