Figli da amare e non da contendere

Per una cultura della mediazione e del sostegno alle famiglie in crisi. Qualche riflessione dopo il caso del bambino di Cittadella
bimbo conteso di cittadella

La vicenda di Cittadella offre alla pubblica opinione un’importante occasione di riflessione. 

La guerra tra i genitori in lite sull’affidamento dei figli genera certamente mostri, producendo una violenza inaudita sul figlio conteso. Ma gli strumenti e gli interventi adottati dalle istituzioni nella tutela dei minori – Tribunale per i minorenni, servizi sociali e polizia giudiziaria – sono ancora troppo spesso inadeguati e improntati alla cultura della forza ed alla logica del male minore. Così il bambino perde il ruolo di soggetto da tutelare, sempre e in ogni circostanza, e diventa “oggetto” di contesa e di intervento.

Quella vicenda, pur eccezionale per le forme in cui si è rivelata al pubblico, non è un caso isolato. Nella mia attività di avvocato mi sono spesso misurato con la solitudine e le sofferenze familiari di genitori e minori e con la difficoltà delle istituzioni nel sostenerle e nell’offrire risposte adeguate. Penso che molte prassi di intervento sui minori scontino un’arretratezza culturale che richiede nuovi strumenti e nuove strategie d’azione.

In questa direzione, l’affermazione solenne del diritto alla bigenitorialità dei minori nella normativa sull’affidamento condiviso, deve continuare a suscitare nuove sensibilità nel mondo della giustizia, tra le parti, come tra gli avvocati e i loro consulenti, sull’opportunità di ricorrere allo strumento della mediazione familiare come metodo per risolvere le dispute separative e mediare tra i diritti e le pretese dei genitori.

Si tratta di uno strumento che può risolvere, con pazienza, casi che possono apparire problematici: favorisce l’elaborazione di traumi e delusioni, consente la gestione dell’emotività, facilita la comunicazione e crea, quindi, le premesse per un’alleanza genitoriale sulle rovine del fallimento di coppia.

Per la maggior parte delle separazioni la fatica e il coraggio di cercare una mediazione dovrebbe essere l’orizzonte comune di tutti coloro che, a vario titolo, devono sentirsi impegnati nell’obiettivo di realizzare “buone separazioni”.

Quel bambino trascinato a Cittadella resterà a lungo nell’immaginario collettivo a ricordare che nulla può supplire al buon senso di un padre e di una madre e alla misura delle istituzioni che devono adottare interventi sempre improntati al rispetto delle persone. Ma soprattutto deve interpellare le agenzie educative del nostro Paese (e tutti noi) su una responsabilità diffusa nel favorire una cultura della mediazione dei conflitti. Spesso le famiglie affondano per solitudine e per l’incapacità di elaborare le sofferenze delle relazioni affettive. L’intera società è chiamata in causa.

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