Fiat, il mercato e i lavoratori

Due lettere sulla vicenda Fiat, un problema spinoso, che investe il futuro dell’industria italiana e di milioni di operai e impiegati
Fiat referendum

«I nodi sono venuti al pettine: la concorrenza sleale di mercati emergenti che usufruiscono di manodopera a costo zero, di manovalanza senza diritti sindacali minimi, legislazioni di Paesi vicini che invogliano investimenti senza vincoli e altamente produttivi dove è ancora lontana la tutela del salario, delle ferie, della malattia, della salute dei lavoratori e perciò dove il costo del lavoro è minimo, lo scarto qualitativo tra la rappresentanza sindacale italiana/europea e quelle similari degli altri Paesi, produttori di merci e/o servizi che a causa della crescente globalizzazione hanno invaso l’Italia o propongono le stesse merci a prezzi altamente competitivi. Da qui il dilemma: o il lavoro o la difesa di diritti acquisiti con fatica e sangue in decenni di lotte e di confronti.

 

È comprensibile che in questo “aut-aut” i lavoratori scelgano il lavoro. Primum vivere, deinde philosophare dicevano i pragmatici latini. È vero, quindi, che il nuovo contratto tra Fiat e sindacati “moderati” impone un modello di condizioni e di relazioni sindacali nettamente sfavorevole ai lavoratori rispetto a quelli precedenti e si è tornati indietro quanto a tutela dei diritti e al peso rappresentativo-contrattuale delle associazioni dei lavoratori.

 

Chi e che cosa perciò rimangono a difesa del lavoratore? Purtroppo solo la magistratura: comportamenti dell’azienda lesivi dei diritti fondamentali della persona, come quello della salute e del rispetto degli accordi sottoscritti possono solo essere impugnati in quella sede. Solo in un secondo momento, politici “illuminati” e animati da un sano solidarismo, sensibili ai segnali ed alle istanze della società civile, potranno offrire un supporto legislativo adeguato e farsi veri mediatori tra le parti. Certo, è un momento critico per la democrazia, ma questo impone una sensibilità maggiorata da parte di tutti sui diritti dei più deboli.  Gli arroccamenti in difesa di posizioni pregresse per ora sembrano perdenti. Dovranno pur nascere e consolidarsi nella società civile nuove aggregazioni e/o nuove forme di pressione sociale per riportare le parti ad un confronto paritario e non sbilanciato e indurre l’establishment aziendale.  Il lavoro può ben essere la contropartita obbligata della perdita di diritti non essenziali, ma non più quando è in gioco la libertà o la dignità della persona ».

Pino Palocci – Roma

 

«La Fiat attraverso Marchionne cerca legittimità morale per andarsene e investire all’estero. Un Marchionne nel suo ruolo e con i compiti che ha, sa bene cosa deve fare e non ha certo bisogno del parere dei lavoratori per decidere e né di un contratto capestro. La Fiat andrà via in ogni caso, a prescindere dal referendum. Sa bene che investire all’estero significa maggiori guadagni e maggiore competitività.

 

E allora, perché tutto questo fracasso? Solo per una questione di immagine. Marchionne non vuole apparire come colui che per ragioni di denaro tradisce l’Italia per dare lavoro a lavoratori stranieri e teme la ricaduta economica nelle vendite italiane. Fuori dall’Italia la Fiat non regge la competitività delle case nazionali degli altri Paesi e non vuole rischiare di perdere anche in Italia le attuali vendite che comunque gli garantiscono la sopravvivenza. Qualunque sia il risultato del referendum, la Fiat si prepara al trasloco, lascerà qualche piccola cosa in Italia, ma andrà a produrre all’estero comunque».

Filippo Macaluso – Palermo

 

In quest’ultima settimana, abbiamo voluto dedicare diversi interventi sulla questione Fiat sul nostro sito. L’impegno era quello di dar conto di una questione che è diventata quasi più un referendum pro o contro Marchionne che una discussione sul merito. E questo, lo andiamo ripetendo da tanto tempo, è uno dei peggiori mali che l’Italia si porta dietro, cioè l’incapacità di ascoltare le ragioni dell’altro, di discutere animatamente quanto si vuole ma nel rispetto, di capire che le cose non sono sempre tutte nere o tutte bianche, ma che la vita è fatta di infinite sfumature di grigio.

Detto questo, la questione Fiat, come notava bene su questo stesso sito Luigino Bruni, non è solo un problema economico, ma anche umano, umanissimo. E di questo non si potrà mai fare economia. Bisogna cioè che il lavoratore ritorni ad essere il centro del discorso generale dell’industria, e non solo il mercato, o il profitto. Ne va dello stesso mantenimento del profitto e dei mercati, ne siamo convinti.

Certo, anche da parte sindacale una robusta autocritica è necessaria, e in parte è già stata avviata, soprattutto per sgomberare il campo da residui ideologici che impediscono di rendere credibili le proprie argomentazioni.

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