Federalismo municipale di nuovo alle Camere

In una lettera a Berlusconi, il presidente della Repubblica dichiara l’irricevibilità del decreto governativo
Berlusconi e Napolitano

La fretta con cui il Consiglio dei ministri ieri sera ha varato in via definitiva il decreto sul “federalismo municipale”, è una notifica, anch’essa definitiva, del rivolgimento istituzionale. La legge che ha conferito delega al governo per disciplinare con una serie di decreti legislativi il federalismo fiscale, ha previsto anche la procedura per il varo dei decreti stessi. Si sa che una volta che il Parlamento ha ceduto il potere legislativo al governo con una legge di delega, non può riprenderselo finché sono aperti i termini per varare i decreti; però conserva una “supervisione”, attraverso l’emanazione di pareri. Nel caso del federalismo fiscale la legge di delega addirittura ha istituito una commissione apposita, a composizione bicamerale (15 membri della Camera e 15 del Senato), che deve dare il parere su tutti i decreti. Ieri è accaduto che questa commissione abbia respinto la proposta di parere favorevole messa a punto dalla maggioranza sul federalismo municipale (il pareggio di voti, secondo il regolamento, equivale a bocciatura). Nonostante ciò, è stato convocato immediatamente un Consiglio dei ministri per approvare il decreto.

 

È un diritto del governo o è stata una forzatura nei confronti del Parlamento? Certamente, ieri, un voto parlamentare del genere avrebbe bloccato qualunque provvedimento del governo. Ma anche oggi rimane spazio per qualche domanda. Due commi della legge di delega sul federalismo fiscale disciplinano infatti i pareri delle commissioni parlamentari e il caso in cui il governo non intenda adeguarsi a quei pareri: può farlo, ma deve motivare le sue scelte e rinviare il testo alle Camere per un ulteriore voto, in Assemblea.

 

Forse stiamo dentro un rivolgimento talmente profondo e radicale da lasciare interdetti quelli che hanno coltivato, magari inconsapevolmente, un’idea delle istituzioni che improvvisamente scoprono antica, peggio: sorpassata. Un’idea per cui le istituzioni erano una casa comune, qualunque idea si professasse, e per questo la maggioranza non diventava mai tutto; rimaneva parte, con l’onere di farsi carico anche della minoranza. Il Parlamento conservava la sua centralità, espressa nelle garanzie per le opposizioni e nell’ossequio agli indirizzi espressi dalle Camere.

 

Il Capo dello Stato ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in cui rileva che «non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione», comunicandogli «di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal governo». Questo giudizio di “irrecivibilità” testimonia che è necessario anche oggi preservare un assoluto rispetto per il corretto funzionamento delle istituzioni.

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