Fare sistema per il bene comune

Si è conclusa la Settimana sociale dei cattolici. L'impegno: un'agenda comune per mettersi al servizio della gente.
Settimana sociale

Sotto uno splendido sole s’è conclusa domenica 17 ottobre la 46.a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Un segno e una conferma meteorologica alla soddisfazione visibile sui volti dei 1.200 delegati che, al termine dell’ultimo giorno dei lavori, in gran parte hanno sostato fuori dal teatro comunale per i primi commenti complessivi e i saluti prima della partenza.

In effetti avevano più di una ragione, ad incominciare da quella di aver risposto all’impegnativa sfida di mettere a punto con proposte precise e immediatamente attuabili quell’agenda di speranza per il futuro del Paese, che costituiva il titolo stesso di questo appuntamento ecclesiale.

 

Nei due anni precedenti era stato condotto un inedito cammino da parte del comitato scientifico e organizzatore della Settimana per raccogliere da diocesi, associazioni, movimenti e nuove comunità istanze, iniziative e buone pratiche per comporre un primo quadro di fiducia nel pur precario presente.

 

A Reggio Calabria era atteso un contributo corale per definire alcune priorità dell’agenda stessa. E in effetti attorno ai cinque ambiti – intraprendere, educare, includere (gli immigrati), slegare (la mobilità sociale), completare (la transizione politica) – i delegati hanno elaborato nelle assemblee tematiche un certo numero di proposte e di progetti.

 

Nella giornata conclusiva di domenica le risultanze dei lavori di gruppo sono state comunicate alla platea dei delegati dai coordinatori Carlo Costalli (Mcl), Paola Stroppiana (Agesci), Andrea Olivero (Acli), Franco Miano (Azione cattolica), Lucia Fronza Crepaz (Focolari).

 

«Dall’insieme delle proposte presentate – ha sottolineato il moderatore della mattinata, Franco Pasquali, presidente di Retinopera e segretario di Coldiretti – si ricava non solo che sono state scritte nuove pagine dell’agenda di speranza, ma che mutano di conseguenza le nostre agende personali e associative per introdurre nuove priorità nelle nostre giornate».

 

Cosa è emerso allora da questa Settimana sociale? Due sono state le letture di fondo dell’avvenimento. Una prima, che potremmo definire di analisi di quanto avvenuto, si può ricavare dalle parole del sociologo Luca Diotallevi.

«Ci troviamo di fronte ad un modello che funziona, comprovato dall’ottimo clima dei lavori e dalla disciplina di tutti, che hanno generato passione, serietà, serenità». E ancora: «È un modo appropriato, vero, efficace di essere Chiesa. Una possibilità di affrontare temi delicati senza timore delle differenze e senza compiacersene. Così siamo riusciti a far opera di decentramento di noi stessi, mettendo al centro attese, dolori e gioie della gente, degli italiani».

 

Per Diotallevi, vicepresidente del comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane, va sottolineato che i delegati sono persone «con forte passione per il bene comune e ciascuno sta in rete nel proprio gruppo ed è capace di pensare non individualmente, ma in termini di sistema». Ultima annotazione, non certo marginale: «Queste persone hanno maturato un’agenda comune con un attenzione particolare su alcuni punti. Punti dai quali incominciare per accumulare conoscenze e far circolare esperienze, su cui concentrare energie per incominciare ad operare subito per un servizio integrale a tutte le persone». E chiude con una considerazione che ha il sapore di una bonaria provocazione: «Pensate se i convegni che tutti organizziamo avessero per tema questi argomenti quante idee sarebbero prodotte».

 

Un’interpretazione spirituale-pastorale si desume invece dalle considerazioni di mons. Arrigo Miglio. Si affida a tre parole.

Responsabilità. «Questi giorni hanno messo in luce in modo più chiaro e forte la vocazione alla responsabilità di educare e formare laici cattolici per un impegno a servizio del Paese». Non meno urgente il dovere di «riuscire a farci capire sempre meglio all’esterno e a far capire che lavoriamo per il bene di tutti e non di una parte del Paese». Seconda parola: unità. «Siamo chiamati a crescere nella vera unità. Solo così saremo incisivi nel rispetto delle differenze. C’è un cammino unitario che sta crescendo, ed esso stesso è segno di speranza». Infine, speranza. «Va sempre più coltivata da tutti per vederla crescere. Siamo chiamati a guardare avanti con fiducia. Abbiamo un debito di speranza verso tutti, ma in particolare con i giovani, verso i quali dobbiamo fare presto. Troppi sono stati già privati del presente e del futuro».

 

I delegati tornano a casa. La Settimana sociale è finita, ma l’anno prosegue: c’è d fare meglio e in fretta. Guai a deludere dopo aver fatto vedere barlumi di speranza.

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