FAO, summit (quasi) senza soldi

Seconda giornata del vertice. Forum parallelo delle organizzazioni della società civile. Nel documento finale tante istanze accolte dal summit, che ora però devono essere attuate.
Convegno FAO
«Alla Fao chiediamo soltanto di essere ascoltati, niente di più». Una richiesta semplice ma fondamentale quella della peruviana Julia Marlene Conocjhui, una dei rappresentanti delle 450 organizzazioni di agricoltori, popoli indigeni, giovani, donne e ong convenuti a Roma per il Forum parallelo della società civile.

Nel secondo giorno del summit della Fao hanno fatto sentire la loro voce all’interno dei palazzi del potere grazie ad una conferenza stampa, in cui è stato presentato il documento finale del Forum e le conclusioni a cui i 642 partecipanti sono giunti.

 

Il coinvolgimento di questi attori nelle decisioni non solo su come viene prodotto, ma anche su come viene distribuito il cibo, è cruciale se si pensa che i piccoli produttori garantiscono il cibo al 70 per cento della popolazione mondiale: proprio per l’importanza che il loro lavoro riveste è quindi indispensabile che «i prodotti agricoli e la ricerca vengano sottratti alle logiche di mercato – ha affermato Amba Jamir dell’associazione indiana “The missing link” – Il cibo serve per sfamare, non per trarre profitto».

Di qui la ferma condanna ribadita nel documento a tutte quelle pratiche che pregiudicano l’accesso al cibo da parte della popolazione locale e la biodiversità, come i biocarburanti, i brevetti sulle sementi e gli ogm: «I contadini sono spesso poco informati in proposito – ha fatto notare la Conocjhui – e vengono quindi ingannati riguardo alla reale minaccia che questi costituiscono».

 

Sul tavolo è tornata prepotentemente anche la questione del land grabbing, cioè dell’espulsione dei contadini dalle terre, che coinvolge – secondo le stime – 20 milioni di ettari e 100 miliardi di dollari. Solo un paio d’ore prima Fao e Ifad l’avevano definita una pratica che, pur essendo spesso abusata e necessitando quindi di una regolamentazione a livello internazionale a cui già si sta lavorando, può offrire opportunità alla popolazione locale; ma «In Perù i popoli indigeni stanno venendo espulsi in massa dalle loro terre – ha ricordato la Conocjhui – e vengono considerati come “ornamenti” del territorio, non come persone. Non siamo mai stati consultati dal governo sulle questioni che riguardano la terra».

 

Proprio la previa consultazione delle popolazioni locali è una delle condizioni che il documento finale del Forum pone, e che è stata recepita anche dalla Fao e dall’Ifad: «Però molto spesso non c’è né la reale possibilità né la volontà di mantenere questo impegno – ha notato il brasiliano Flavio Valente – così non si creano le condizioni per cui sia gli investitori che i contadini possano trarre vantaggi».

«A questo – ha aggiunto l’ugandese Margaret Nakato – si somma la debolezza di molti governi, che non hanno la forza né per rispettare le dichiarazioni né per resistere alle pressioni di altri soggetti, dalle multinazionali, alle potenze straniere, alla Banca Mondiale».

 

Anche per questo il Forum ha ribadito la sua fiducia nel Comitato per la sicurezza alimentare (Cfs) della Fao, come luogo di discussione, coordinamento e confronto, impegnandosi a “monitorarlo” per far sì che gli impegni presi dagli Stati membri vengano rispettati: «Da anni vediamo le nostre richieste accolte nei trattati – ha affermato Jamir – ma poi, nei fatti, nulla viene realizzato».

 

Il Forum non si è però limitato ad additare ciò che non funziona: la Nakato, insieme al keniota John Mutunga, ha portato i risultati positivi ottenuti nei progetti che coinvolgono le donne, e il documento si sofferma ampiamente sul contributo che l’agricoltura su piccola scala offre nel contrastare il cambiamento climatico. A questo proposito, si è chiesto Valente, «perché sono sparite dalla discussione in questo summit tutte le ricerche scientifiche che lo confermano?».

 

Diversi capi di Stato e membri di governo hanno fatto proprie le istanze del Forum parallelo: il presidente del Mozambico, Robert Mugabe (personaggio però da prendere con le molle), ha scagliato anatemi contro «la sottrazione delle terre agli indigeni da parte di una nuova classe di proprietari» e le «politiche punitive di alcuni Stati verso gli interessi dei nostri agricoltori», mentre il nostro ministro dell’agricoltura Luca Zaia ha proposto «un’agricoltura identitaria, che tenga conto della realtà di ogni popolo» ribadendo che «grano, riso e mais non sono merci come le altre, ma il pane dell’umanità». Ma ora, chiede il Forum, dalle parole bisogna passare ai fatti.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons