Falso allarme del “contagio” del morbo di Alzheimer

Una notizia errata rilanciata dall'editoria on line. L’Alzheimer contagioso non è scienza, ma commercio di colpi di scena, con lo scopo di catturare click e “like” su siti e social network. Con il rischio di suscitare odiose reazioni di paura ed emarginazione verso chi è malato.
anziani

La notizia, riferita con il solito gusto per il sensazionalismo di una parte dell’editoria online, ha fatto il giro del mondo in poche ore. Ma quanto riportato nello studio sulla rivista Nature non è affatto la scoperta della contagiosità del morbo di Alzheimer, né apre necessariamente la strada a questa possibilità.

Andiamo con ordine; da diversi decenni è noto alla scienza che alcune proteine, presenti nel cervello dei mammiferi e anche in quello umano, possono assumere una configurazione “sbagliata”. Le proteine infatti sono costituite da catene molto lunghe di componenti elementari, chiamate aminoacidi, e si ripiegano molte volte su sé stesse per raggiungere esattamente la sola forma che permette di svolgere la loro complessa funzione.

La forma corretta è indispensabile anche per consentire che, una volta esaurito il proprio compito, queste proteine possano essere smaltite e i loro componenti riciclati per costruire altre strutture utili: le molecole che hanno la configurazione sbagliata invece si accumulano nel tempo, finendo per danneggiare e distruggere le cellule del cervello. Ciò si verifica in alcune patologie ereditare, come il morbo di Creutzfeldt-Jacob, variante umana della famigerata mucca pazza: sebbene la malattia sia dovuta ad un difetto genetico responsabile del comportamento delle proteine, si è scoperto che le stesse molecole possono essere ingerite da altri mammiferi e, una volta assimilate, raggiungono il cervello senza venire distrutte. Qui agiscono come “fotocopiatrici”, inducendo anche le proteine sane ad assumere la forma sbagliata e trasmettendo quindi la patologia.

Ecco spiegata la contagiosità, verificata purtroppo anche in alcuni pazienti affetti da patologie metaboliche e trattati con ormoni estratti da cadavere umano.

Ma cosa c’entra l’Alzheimer?

I ricercatori hanno osservato, nel cervello di otto di questi pazienti deceduti, alcuni segni di degenerazione neuronale tipici del morbo di Alzheimer: i segni fanno pensare che, se non fossero decedute per il morbo di Creutzfeldt-Jacob, queste persone avrebbero potuto sviluppare nel tempo anche tale patologia.

Nulla che può spingere a conclusioni definitive: piuttosto, come annunciano gli stessi autori, “una nuova pista da seguire” nel tentativo di scoprire qualcosa in più sui meccanismi alla base delle malattie degenerative del cervello e identificare le procedure attraverso le quali proteine con configurazione erronea possano passare da un paziente all’altro.

Una lunga strada da percorrere, un passo alla volta, senza sensazionalismi. Conclude adesso che l’Alzheimer sia contagioso non è scienza, ma commercio di colpi di scena, con lo scopo di catturare click e “like” su siti e social network. Con il rischio di diffondere allarmismi ingiustificati e, assai peggio, di suscitare odiose reazioni di paura ed emarginazione verso chi è malato.

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