È la fine della Rai?

120 milioni di debiti. I vertici della tv pubblica vogliono vendere alcuni rami della società e i lavoratori scioperano.
cavallo rai

La Rai in sciopero. A detta delle sigle sindacali che hanno organizzato la protesta del 10 dicembre è stata la manifestazione con il maggior numero di partecipanti da anni. La posta in gioco è, infatti, alta. Il consiglio di amministrazione ha approvato un piano industriale lacrime e sangue che sembra sempre più smantellare mamma Rai. La televisione di Stato, di fatto, è ormai subalterna al vero duopolio televisivo che si contende l’etere: Mediaset e Sky. Come terzo incomodo e con alle spalle un palese conflitto d’interesse, la Rai cerca di non recare troppi danni al diretto concorrente, il Biscione di Cologno monzese.

 

Il piano industriale prevede le cosiddette procedure di cessione di un ramo d’azienda. Per abbattere i costi e far cassa sarebbero ceduti a società private interi settori quali Raiway. È la società che possiede le torri con cui si trasmette il segnale televisivo. La Rai la cederebbe ad una società privata per incassare 300 milioni e poi pagherebbe l’affitto delle torri. «È come se le Ferrovie dello Stato – dice Danilo Leonardi della segreteria nazionale dell’Ugl – vendessero i binari ad una società esterna». Altri settori ceduti sarebbero l’ufficio abbonamenti, la contabilità, l’Ict, acquisti e servizi, trucco e parrucco, riprese esterne, scenografia. Il timore fondato è che si verifichi quanto già accaduto con Alitalia. Lavoratori in cassa integrazione e licenziamenti per esubero di personale. Ne sono previsti 1.200.

 

«Stiamo protestando – dichiara il segretario nazionale Ugl Telecomunicazioni, Stefano Conti per ribadire la nostra totale contrarietà ad un piano industriale dell’azienda basato unicamente su tagli al personale e alle infrastrutture. È inaccettabile che un’azienda che svolge un importante servizio pubblico svenda i principali assett ed esternalizzi attività e servizi unicamente per fare cassa, senza adottare alcuna strategia di lungo periodo e considerando i lavoratori un costo da abbattere. Per recuperare risorse si eliminino i veri sprechi invece di tagliare indiscriminatamente posti di lavoro».

 

Secondo gli organizzatori i manifestanti erano circa 3mila, di tutte le sigle sindacali tranne la Cisl, da destra e sinistra, e provenienti anche dalle sedi Rai sparse in Italia. I tornelli di ingresso di viale Mazzini 14, sede centrale dell’azienda, erano incredibilmente chiusi, ufficialmente per motivi tecnici, e presidiati dai carabinieri. Evidentemente per paura, perché tutti i dipendenti Rai avrebbero potuto accedere liberamente con il loro badge. Sul palco si sono alternati tutti i leader sindacali di categoria. «Non c’è dubbio – nota Emilio Miceli, segretario della Slc Cgil – che le cose migliori della Rai sono quelle realizzate dai lavoratori interni».

 

Il piano industriale è stato votato all’unanimità da tutto il consiglio di amministrazione e «in un momento di crisi – continua Miceli –  il Cda vuole continuare ad assicurare il dividendo politico. Forse, allora, i lavoratori e i sindacati sono gli unici che tengono alla Rai in questo paese. Chiediamo al Cda di riflettere su questo sciopero».

 

A breve giro di posta è arrivata la risposta del direttore generale della Rai, Mauro Masi: «la manifestazione di alcune sigle sindacali oggi in Rai rischia di essere un grave e controproducente errore, perché allontana dal tavolo delle trattative e da quel dialogo necessario per trovare soluzioni in un momento in cui c’è bisogno di collaborazione da parte di tutti. Un momento in cui la Rai sta per la prima volta tentando di risolvere sul serio i propri problemi strutturali di bilancio per troppo tempo lasciati marcire». Allo sciopero hanno aderito gran parte dei lavoratori Rai e le redazioni dei vari programmi sono rimaste quasi del tutto deserte.

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