Dove le montagne non hanno un nome

Incontro con Fausto de Stefani, sesto uomo scalatore degli ottomila.
Fausto de Stefani

Nella mia testa frullava l’idea di scrivere un bell’articolo sull’alpinismo (quello vero), le montagne più alte della terra e le sensazioni che si provano quando si arriva a pestare con i piedi stanchi le cime più alte del mondo. Quell’idea l’ho presto dimenticata…

Fausto de Stefani apre la porticina del suo accogliente maso circondato da un rigoglioso bosco sulle colline di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. È un alpinista di fama mondiale, il sesto uomo al mondo ad aver scalato tutti i quattordici ottomila in stile alpino, che prevede la salita verso la cima con un’attrezzatura sobria, senza l’aiuto di portatori o bombole d’ossigeno. Fausto non ama i record, la prestazione d’alta quota, né vive nel prestigio di aver siglato un primato storico. Mira all’essenziale: ama la natura, le favole, immortalare la vita in uno scatto della macchinetta fotografica, scrive libri, vuole sognare e condividere questa sua esperienza con grandi e piccini.

 

Fuori fa freddo e i massicci muri della casa sulla collina fanno fatica a trattenere il calore. «Questa tenuta mi è stata donata dalla famiglia di un noto imprenditore della zona – ci tiene a precisare Fausto –. È la mia oasi di rifugio! Qui mi ritiro per stare fuori dal mondo o quando porto in gita le scolaresche. Cerco di far scoprire ai bambini la natura, il fascino e il profumo del bosco. Non esistono luoghi belli o brutti, solo ambienti diversi e il segreto sta nel cogliere questa diversità: il bosco della collina è diverso rispetto al bosco della montagna. Questo è il primo passo per riconsegnare alla natura il suo ruolo, altrimenti lei si prende ciò che le spetta».

 

Un attimo di pausa, una sistemata alla folta barba che dona a Fausto quel tocco di originalità e lo fa assomigliare tanto a un magico personaggio delle favole, venuto da chissà dove. «Ai bambini – continua – bisogna far fare esperienze positive perché queste si rifletteranno in ciò che saranno un domani; è indispensabile lavorare sul rapporto tra l’uomo e gli ambienti naturali per non perdere il senso delle nostre radici. Quando hai un pezzo di formaggio, una fetta di salame, un bicchiere di vino, degli amici, devi considerarti felice!».

La fiamma nel caminetto prende vigore e il calore si diffonde in tutta la stanza. Fuori il buio si sta mangiando la luce della giornata. Un lampo e lo sguardo intravede una casetta sull’albero. «Fausto… e quella casetta?», segue un sorriso e uno sguardo divertito. «Beh, venivo qui quando ero piccolo e costruivo casette sugli alberi; ora sono passati tanti anni, eppure torno qui e… continuo a costruire casette. C’è una quantità enorme di opportunità che aiutano a capire chi sei. Quando però le persone si chiudono a riccio, con le proprie convinzioni, credo sia l’inizio della fine. Poter conoscere un’altra cultura, porsi in atteggiamento di dialogo, sono occasioni di grande valore. Ho capito questo dopo trent’anni di viaggi per il mondo».

Fausto spalanca le porte della sua “officina delle favole”, un capannone dove una volta si lavorava il ferro e che ora è un vero e proprio museo della cultura nepalese e himalayana. Costumi tipici, pezzi d’artigianato unici e in fondo alla sala tanti sgabellini, uno diverso dall’altro, provenienti da diversi Paesi, dove gli alunni delle elementari si siedono quando vengono accompagnati in gita.

Guardarsi attorno vuol dire lasciarsi trasportare per qualche istante nei luoghi dove si innalzano le cime più alte del mondo.

 

Ormai è sera e gli appuntamenti di Fausto incombono; sulla scrivania ci sono documenti che narrano il suo impegno per la realizzazione di una città-studi nella comunità di Kirtipur, in Nepal. Ci salutiamo all’ombra di una grande fotografia: «Ogni volta che torno in Himalaya – conclude – è un gran piacere: vi ritrovo me stesso. Ascolto. Vivo tra gente semplice, vera, condividendo le esperienze quotidiane. Affascinanti sono le leggende che narrano della nascita della Grande Montagna: Sagarmatha, la dea madre, il tetto del mondo, l’Everest».

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